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Jo Piazza e il thriller che smaschera il mito della moglie perfetta

di Nicoletta Orlandi Posti mercoledì 29 ottobre 2025

4' di lettura

Il brivido, qui, non è l’omicidio. Il vero colpo di scena è scoprire che la perfezione domestica esibita sui social dalle influencer più seguite - grembiuli infallibili, figli come cornici viventi, sguardi devoti - è un set a cielo aperto, scritto dagli algoritmi e prodotto da una cultura che trasforma l’obbedienza in glamour. Con Le regole della moglie perfetta (Piemme), Jo Piazza entra in quella messinscena e la illumina di taglio: non per demonizzare le scelte individuali, ma per rivelare la coreografia politica ed economica che le sostiene.

La storia è un gancio ben oliato. Lizzie, reporter in apnea tra lavoro e famiglia, ritrova l’amica d’un tempo: Bex non è più Bex, è Rebecca Sommers, regina dei social e testimonial di una femminilità "senza grinze". Sei figli, rituali da manuale, un marito al comando, milioni di follower ipnotizzati. Un’intervista promessa come rilancio professionale diventa subito un cratere: Rebecca scompare, il marito viene ucciso, la facciata inizia a screpolarsi. Piazza costruisce il ritmo con frasi rapide, cesure nette, un alternarsi di indagine e “dietro le quinte” che riproduce il respiro corto della timeline: rivelazioni a scatti, sospensioni, cliffhanger. Ma la tensione migliore è concettuale: cosa c’è dietro quelle immagini?

L’intervista che Piazza ha rilasciato ad Annalisa Cuzzocrea per Repubblica è la chiave per leggere il romanzo come atto politico oltre che narrativo. La scrittrice lo dice senza giri di parole: il revival del “matrimonio tradizionale” - tanti figli, sottomissione all’uomo, domestico come destino - non è un revival innocuo. È un’estetica funzionale a un progetto di potere. La vittoria di Trump, l’onda dei nazionalisti cristiani, la retorica del posto della donna “in casa” hanno trovato nelle influencer Trad Wife un veicolo scintillante: «video patinati che rendono glamour idee retrograde». Non è solo viralità: è filiera, perché quei contenuti «sono spesso promossi da organizzazioni conservatrici», punto d’incontro tra programma ideologico e capitalismo dell’attenzione.

Qui il noir diventa saggio: la famiglia ideale come prodotto. La “autenticità” come coreografia. Affitti cucine per fingere la semplicità, registi per simulare l’immediatezza, sponsorizzazioni travestite da consigli. Piazza non vampirizza il fenomeno: lo documenta. E smonta un’ipocrisia strutturale che il romanzo mette in scena con efficacia: spesso a tenere in piedi il castello non sono i mariti dominanti ma le stesse donne-influencer, imprenditrici di sé che predicano rinuncia mentre monetizzano performance di rinuncia. Nel libro, questo meccanismo diventa minaccia concreta: quando la perfezione è un’arma, ogni deviazione si paga. E l’“armonia domestica” può mutare in gabbia. La scommessa narrativa di Piazza sta nel far coincidere l’indagine su un delitto con l’indagine su un linguaggio - quello dei social - che taglia, pulisce, semplifica fino a non lasciare residui. Everyone Is Lying to You, il titolo originale, è una dichiarazione di poetica: il sistema mente, ma mente perché deve vendere. E noi, pubblico complice, chiediamo di essere ingannati purché l’inquadratura tenga. La parte più disturbante, che nel romanzo pulsa sottopelle e nell’intervista deflagra, riguarda i figli: la loro esposizione continua, il lavoro non retribuito, la privacy barattata con l’engagement. Piazza evoca scene concrete - un castello di sabbia rifatto dieci volte per la “take” giusta - che valgono più di un trattato. Non è un effetto collaterale: è la logica interna di un dispositivo che macina infanzia per produrre contenuto.
La cornice politica non è cornice decorativa. Piazza collega il boom delle Trad Wife a un clima culturale preciso: la stanchezza di donne lasciate sole tra carriera e cura, la regressione imposta come scelta “libera”, l’algoritmo che premia il patinato e penalizza il dissenso (anche quello femminista, costretto alla parodia per sopravvivere in feed). Il romanzo non giudica chi desidera una vita tradizionale - lo dice l’autrice - ma rifiuta l’idea che quel desiderio diventi norma, e che la norma si venda come estetica.

Sul piano letterario, Le regole della moglie perfetta è un congegno agile e preciso: l’amicizia spezzata come archivio del non detto; l’identità digitale come maschera assorbente; il ranch, la conferenza “MomBomb”, i reel e le stanze impeccabili come scene madri. Ma il libro funziona davvero quando accetta la propria natura ibrida: thriller d’indagine e pamphlet contemporaneo. Vale più per il modo in cui mostra la fabbrica della verità che per la sorpresa finale; più per la lingua “a scatti” che mimetizza il feed che per l’architettura del giallo in sé. Il punto è questo: non stiamo parlando di un sottogenere americano folkloristico. Stiamo parlando di un immaginario che filtra anche qui - grembiuli edulcorati, neoliberismo della cura, nostalgia come anestetico - e che usa la bellezza contro le donne stesse. Piazza ci offre una lente: guardare il bordo del fotogramma, scorgere la troupe, riconoscere la sponsorizzazione dove ci vendono “autenticità”. È un libro che si legge veloce e si metabolizza lento. Finito l’ultimo capitolo, restano due domande: quanta parte della nostra “verità” quotidiana è una regia? E quante volte abbiamo condiviso, messo like, desiderato - contribuendo noi stessi a quella perfezione che ci opprime?

Postilla editoriale
Primo romanzo di Jo Piazza pubblicato in Italia (Piemme) e già opzionato da Hollywood, Le regole della moglie perfetta porta in dote l’esperienza giornalistica e da podcaster dell’autrice (dalla vicenda familiare di The Sicilian Inheritance alla critica dei format che colonizzano la sfera privata). Non c’è moralismo, c’è un invito a disinnescare: decifrare i codici, rifiutare la colpa come strumento di vendita, pretendere regole che proteggano i minori. E, soprattutto, ricordare che la scelta è tale solo quando nessuno la impacchetta per noi. Da leggere assolutamente.

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