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Ucraina, Alessandro Sallusti: "L'Occidente è imperfetto, ma dobbiamo schierarci contro lo Zar invasore"

Alessandro Sallusti

Oggi qualcuno ci vuol fare credere che Putin, il comunista Putin, non ha poi tutti i torti a invadere l'Ucraina, che semmai i torti li abbiamo noi occidentali e che libertà e democrazia non sono poi valori così assoluti da costituire un confine invalicabile. Ci sarebbero cioè "buone ragioni" perché un dittatore comunista camuffato da presidente decida di fare una guerra a noi via Ucraina, che sarebbe un po' come dire che Bin Laden e compagni, in nome di presunti torti subiti dagli occidentali, fecero bene a compiere gli attentati delle Torri Gemelle e del Bataclan e a mettere su il Daesh, libero Stato dell'Isis, cioè del più feroce integralismo islamico. Nelle piazze italiane ieri c'è chi ha iniziato a mettere sullo stesso piano Putin e la Nato e a inneggiare alla pace come elemento astratto, pur di non schierarsi "senza se e senza ma" dalla parte dell'Occidente. Sono cresciuto in un tempo felice, perché le cose erano chiare e non esistevano i "né -né", si stava o di qui o di lá. Un tempo nel quale da bambino facevo fare, con consenso di tutti, ai soldatini in giubba blu del generale Custer la parte dei buoni e agli indiani quella dei cattivi e perdenti. Passarono gli anni e fui confortato dalla filmografia: Rocky, novella giubba blu, era il bene e Ivan Drago, il pugile russo suo rivale - quello de «Io ti spiezzo in due» -, il male comunista; e lo stesso vale - rimanendo a Sylvester Stallone - per i cinque Rambo, dei quali uno lo vedeva braccato proprio dall'Armata Rossa. Del resto, non al cinema ma nella realtà, la mia generazione aveva visto con soddisfazione naufragare malamente quell'utopia anti-occidentale che fu il movimento del Sessantotto, i cui leader finirono in prigione per terrorismo oppure si riconvertirono nei salotti borghesi che più borghesi non si può, e alcuni di loro addirittura finirono ai vertici di multinazionali che più capitaliste non si può. Fino allo champagne stappato la notte delle caduta del Muro di Berlino e del conseguente disfacimento dell'impero comunista.

 

 

 

CIVILTÀ SUPERIORE

Insomma, sono cresciuto con chiaro in testa che avevo ragione e la storia me lo stava confermando. Dovetti aspettare anni per leggerlo chiaro e tondo in uno scritto di Oriana Fallaci: l'Occidente sarà pure molle ma è una "civiltà superiore" ed essere di destra significa innanzitutto stare con l'Occidente; viceversa la sinistra o sta con il nemico, lo è stata ai tempi dell'Unione Sovietica stalinista, osi muove con il passo ambiguo di chi pensa di trarre vantaggio nel tenere il piede in due scarpe. In sintesi, non ho mai avuto dubbio da che parte stare, cioè dalla parte dell'Occidente e della libertà, a prescindere da chi in quel momento o in una certa occasione mi ha rappresentato, a volte persone non all'altezza del compito e della nostra fiducia. È ovvio che aun certo punto ho compreso che potevano esserci indiani bravi e giubbe blu canaglie, che Rambo non era un eroe senza macchia e doveva guardarsi le spalle anche dai suoi, perché l'America non è l'Eldorado e anche lì non mancano ingiustizie, vigliacchi e ruffiani. E quando, studiando, ho preso atto che il generale Custer in realtà era un cinico stronzo che pure perse contro gli indiani, non ho avuto ripensamenti o pentimenti: meglio lui che Toro Seduto. Oggi, per intenderci, non ho smesso di credere in Dio pur avendo preso atto che la Chiesa è infestata da preti pedofili. In altre parole, ho capito che sia il bene sia il male non stanno mai da una sola parte, ma che se non scegli e resti nel mezzo, o peggio passi di qua o di là a seconda delle circostanze, non hai identità, non appartieni a una comunità e rischi soltanto di prenderle sia da destra che da sinistra.

 

 

 

IL PASSATO

Anche per questo sono contrario a rimuovere effigi del nostro passato oggi giudicate - tanta è la melassa culturale in cui vogliono condurci- scorrette o imbarazzanti: saranno anche scorrette ma noi veniamo da quella cosa lì che certo non è il paradiso terrestre, noi siamo quella cosa lì e se non lo difendiamo non andremo lontano. Sul caso Putin ho ascoltato tesi dotte e a volte logicamente fondate. Ma che dici?- mi rimproverano- è un amico di Berlusconi ed è pure amato dal suo popolo. Sugli amici altrui non sindaco (tanto più se parliamo di Berlusconi che è amico anche dei suoi nemici per scelta tattica, solo per fregarli meglio); sull'«amato», val la pena di ricordare che da Hitler fino a Stalin tutti i dittatori sono stati amati dal loro popolo. E in quanto al popolo di Putin beh, è passato dagli zar ai soviet senza transitare neppure un giorno dalla democrazia, concetto ai russi ancora oggi sconosciuto se non nella forma certamente nella sostanza. Un giorno a Mosca un giovane tassista, da me interpellato sull'argomento, mi lasciò di stucco: «È vero, rispetto a prima, con Putin siamo un po' più liberi, ma il prezzo da pagare è troppo alto: mio padre aveva casa e lavoro assicurati dal partito e stava meglio di me che invece devo guadagnarmi da vivere tutti i giorni». Ecco, quel tassista nella sua ingenuità ben rappresenta chi anche oggi, non a Mosca ma in Italia, storce il naso per dover pagare una tantum il prezzo della libertà. Anche a me non fa piacere mettere mano al portafoglio, anche io vedo tutti i limiti, gli errori, e in alcuni rari casi purtroppo anche gli orrori del mondo Occidentale a cui appartengo. Ma se da fuori, come sta facendo Putin, qualcuno vuole minare o solo mettere in dubbio le fondamenta della nostra civiltà, allora lasciamo da parte le analisi e i distinguo. La guerra la si vince con le armi, ma anche un pensiero forte, anche se costa, non guasta e anzi può fare la sua parte.