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Manuale laico per esistere dopo la morte

Nel nuovo saggio, Antonio Polito riflette sulla necessità umana di non scomparire: "Qualcosa di noi resterà oltre la polvere..."
di Daniele Priori domenica 19 ottobre 2025

4' di lettura

Io fossi in te andrei a visitare la Georgia, lo Stato affacciato sul Mar Nero». La professoressa del liceo alla quale chi scrive era più affezionato, il suo “oltre” l’aveva immaginato così. Come quel posto sconosciuto che però, a suo dire, valeva sicuramente la pena andare a conoscere. Un ricordo fatale, le ultime parole di una persona carissima, capaci di lasciare il segno. Quasi un testamento.
Esperienze simili rappresentano la prova principe del fatto che Antonio Polito, col suo nuovo libro appena uscito per Mondadori, abbia davvero ragione. Si intitola Qualcosa di noi resterà. Come sopravvivere alla morte (Mondadori, pp. 168, euro 18,50) il saggio in cui il giornalista, editorialista del Corriere della Sera, ci conduce per mano in un mondo variegato di riflessioni sul tema ferale del trapasso. Eppure, nonostante l’autore stesso, alla vigilia dei 70 anni, manifesti per primo una certa angoscia anagrafica che, a suo dire, l’avrebbe spinto a fare il punto sulla complessa e decisamente vexata quaestio, il libro - pur risultando di fatto e in tutti i sensi antiepicureo - si rende lo stesso godibile, tanto da lasciarsi leggere in maniera addirittura agile. Il merito di tutto ciò è indubbiamente dell’autore. Cronista di razza, maestro nel raccontare bene, mantenendo la giusta distanza dai fatti, come pure, da abile analista e polemista sopraffino, capace di andare a fondo ai problemi, senza perdere la levità di un volo alto che non scade mai nella magniloquenza.

SPETTACOLO METATEATRALE
«I Ad agevolare ulteriormente la lettura dell’opera, costantemente a cavallo travita e morte, finitezza e eternità, razionalità e speranza, è certamente anche la formula narrativa utilizzata che, a partire dalla divisione del testo in quattro macro-scene (L’attimo, L’addio, Il dopo e La speranza) potrebbe ricordare una sorta di spettacolo teatrale o, forse, ancora meglio, metateatrale, nel quale, prima o dopo, saremo tutti protagonisti. La prospettiva culturale di fondo è quella dell’Occidente di fatto scristianizzato. Sebbene la religione - o sarebbe meglio dire le religioni - siano ovviamente complici primarie del viaggio che Polito propone, a farla da padrona resta, però, la filosofia laica. Dei pensatori che da millenni riflettono sul senso della fine e sul lascito di ogni uomo nella Storia: da Platone in epoca classica a Heidegger nel secolo trascorso. Il rovello sul bene e sul male, sull’Inferno e sul Paradiso, Polito lo lascia tra le mani degli ultimi due grandi pontefici: San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI che, proprio con Wojtyla, pare si confrontasse sulle sorti ultime delle anime e addirittura sull’inferno e sul diavolo (parlarne o meno?) tema peraltro spesso ripreso anche, in seguito, da Papa Francesco. La morte, dunque, è sicuramente un grave dolore e un passaggio, come lo definisce il filosofo Massimo Cacciari, che pure - si evince dall’urgenza manifestata e anche dalla natura divulgativa del libro di Polito - deve in ogni caso essere affrontato. Costretti, come siamo, a concettualizzarlo, a ritualizzarlo in qualche modo per iniziare a «elaborare il lutto» come si dice nel terribile linguaggio formale.
Polito col suo lavoro prova proprio a smontare la formalità, trasformandola in sostanza intellettuale, con l’unica arma in mano a uno scrittore: la libertà di parola.
Senza infingimenti. Per cui si passa dai racconti quasi paranormali delle fasi di pre-morte, narrati da chi «è andato e tornato», ai racconti oggetto di studi seri e importanti, annota Polito, accomunati da testimonianze il più delle volte pressoché sovrapponibili tra loro. Per arrivare a varcare i confini della scienza con le ricostruzioni storico-biografiche che si concretizzano grazie proprio alla «parole» che ci vengono restituite dalle analisi di ossa, tessuti, teschi. Fattispecie che vanno dai casi di cronaca nera, al culto (invero un po’ necrofilo) delle capuzzelle nel Cimitero delle Fontanelle di Napoli.

CONFESSIONE
A tutto ciò, tornando alla fase più intima, si unisce la necessità (e forse anche il piacere oscuro) che molti hanno di immaginare per loro stessi un commiato solenne dalla vita, magari anche con una tracklist di brani musicali per l’evento. L’autore confessa nel libro di aver creato addirittura un gruppo Whatsapp tra persone della sua cerchia ristretta, famiglia e amici, ai quali, di tanto in tanto, fornisce indizi. Titoli di canzoni, come “Era de maggio”, il mese in cui il buon Antonio è venuto al mondo, ma anche ipotesi di cerimoniale, come quelle tratte dal libro “Funerali senza Dio” di Richard Brown. Che sia però (bravissimo Polito, stracondividiamo) rigorosamente senza applauso finale. Passaggio autoironico che quasi aiuta a pensare alla morte come parte del nostro essere vivi, un atto di resistenza alla superficialità. Tale appare questo libro. Prezioso, discreto, che illumina senza abbagliare e lascia nel lettore la sensazione che, davvero, qualcosa di noi - anche solo un pensiero, un sentimento, un ricordo- possa davvero superare indenne il nostro traguardo finale.

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