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Alta tensione sulle fondazioni bancarie

Campanello d'allarme al Tesoro. Gli enti creditizi scricchiolano e mancano strumenti per gestire la crisi. Allo studio una riforma per colmare un vuoto della legge Amato e creare le "fusioni di salvataggio"
di Nicoletta Orlandi Posti domenica 23 settembre 2012

3' di lettura

di Francesco De Dominicis Il bubbone non è  scoppiato. Ma al Tesoro l’allerta è  alta. Stiamo parlando delle Fondazioni bancarie, vale a dire gli enti che hanno in mano  il sistema finanziario del Paese. E non solo. Il punto è questo: la galassia della Fondazioni, azioniste dei principali gruppi bancari italiani (per dire: Intesa, Unicredit e Monte paschi)  sarebbe traballante. Per ora sono scattati pochi campanelli d’allarme, casi isolati. E tra questi c’è senza dubbio l’ente senese che controlla Mps. Occhi puntati, poi, su Cassamarca, Cassa di risparmio di Ferrara e altre realtà minori. Tuttavia, di là dai singoli dossier,  i  segnali di  indebolimento patrimoniale sarebbero continui. E il quadro, stando a indiscrezioni raccolte  al ministero dell’Economia, potrebbe peggiorare rapidamente. Da qualche anno le Fondazioni non ricevono più utili da parte degli istituti di credito controllati. La crisi, del resto, ha messo a dieta i colossi bancari e  gli azionisti sono rimasti senza quattrini. Così, le Fondazioni sono state costrette a tagliare le «erogazioni», concessioni di denaro a pioggia sul territorio: dalle università (alcune proprio per la cura dimagrante degli enti bancari non pagano gli stipendi) alle associazioni culturali. Il fascicolo scotta e la faccenda è  complicata, visto che riguarda i gangli  politico-economici dell’intero Paese. Bisogna districarsi nella giungla normativa. La supervisione sulle Fondazioni, create negli anni ’90  con la legge targata Giuliano Amato, spetta al Tesoro. Che in 20 anni non ha mai affondato la lama. Una scelta precisa: alle Fondazioni,  legate a doppia mandata con i comuni, è sempre stata lasciata   libertà d’azione. Pure l’attuale titolare dell’Economia, Vittorio Grilli, le ha difese, in estate, in  polemica con alcuni economisti e dopo la pubblicazione di un report di Mediobanca assai duro. È un recinto dal quale si tende a stare alla larga.   La bufera finanziaria  ha  aperto però scenari imprevedibili. Nei corridoi di via Venti Settembre, e in alcuni tavoli di lavoro, sono in corso «prime riflessioni su ipotesi di riforma» spiega una fonte vicina alla partita. Riforma che servirebbe a colmare un vuoto normativo: all’appello mancherebbe, una disciplina ad hoc per gestire le  crisi delle Fondazioni. Servirebbe, perciò, un pacchetto di regole che, come nel caso di dissesti finanziari di società, possa consentire interventi d’emergenza anche con la mano pubblica. Tesi, quella del vuoto normativo,  rifiutata dall’Acri (la lobby delle Fondazioni) che si arrocca, convinta che il Tesoro con le norme in vigore possa  commissariare e disporre la liquidazione.  La disputa in punto di diritto potrebbe non essere facile da comporre. Sta di fatto che  i tecnici del ministero sono convinti che sia necessario un provvedimento  «urgente». Non circolano bozze, ma si profila comunque l’idea di mettere sul tavolo uno strumento inedito per dare il là a  «fusioni di salvataggio». Il decreto andrebbe affinato a lungo. Prima di procedere  servirebbe una fotografia esatta dello stato di salute degli enti. Si dovrebbero studiare a fondo i bilanci, magari andando oltre i documenti ufficiali. Gli esperti puntano il dito contro i derivati e l’eccessivo ricorso alla finanza d’azzardo da parte dei manager. Situazioni al limite del default che renderebbero impraticabili certi  matrimoni. Alcune Fondazioni avrebbero accumulato passività troppo rilevanti. «Buchi» nei conti che nessun altro ente sarebbe in grado di colmare con le sue dotazioni patrimoniali. Il rischio, insomma, è che per salvarne una ne puoi far affondare due.  twitter@DeDominicisF

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