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Irpef giù e spinta ai salari: ecco gli aiuti al ceto medio

Allo studio anche l’aumento della rivalutazione delle #pensioni medie. Si inizia con la nuova legge di bilancio, per terminare il lavoro nel 2026
di Fausto Carioti lunedì 25 agosto 2025

3' di lettura

Fatto il giro di boa della legislatura, è il momento di focalizzarsi sul traguardo: le elezioni politiche, che salvo cataclismi si terranno nella primavera del 2027. Questo lascia a Giorgia Meloni e ai suoi ministri un anno e mezzo e due leggi di bilancio per aiutare quella fascia di elettori-contribuenti che sinora ha dovuto cedere il passo ai redditi più deboli. La premier lo sa, a giugno lo ha promesso lei stessa davanti alla platea dei commercialisti: «Intendiamo concentrarci oggi sul ceto medio». Stesso concetto ripetuto da esponenti di governo e di tutti i partiti della coalizione: non si può trattare come un ricco chi guadagna 40 o 50mila euro, occorre portare al 33% l’aliquota fino a 60mila euro (ora è al 35% per i redditi tra i 28mila e i 50mila euro, poi sale al 43%). Tutti sanno che il giorno del voto milioni di italiani chiederanno conto di quella promessa scritta nel programma elettorale del 2022: «Riduzione della pressione fiscale per famiglie, imprese e lavoratori autonomi». Ma non c’è solo questo. A palazzo Chigi, come nelle altre cancellerie europee, c’è la preoccupazione che il ceto medio riduca il consumo di generi che magari non sono essenziali, ma fanno comunque la differenza nella percezione del tenore di vita. È necessario dare una risposta, anche per mantenere alto il consenso del governo.

Il problema, manco a dirlo, è trovare i soldi. Il solo taglio dell’Irpef per i contribuenti tra i 28mila e 60mila euro ha un costo stimato di poco superiore ai 4 miliardi di euro. E non è l’unico intervento fiscale in programma. Sarà inevitabile lo slittamento o la cancellazione della “sugar tax” (300 milioni l’anno), rinviata al primo gennaio del 2026, si vuole rendere stabile l’Ires premiale, che garantisce vantaggi alle imprese che reinvestono gli utili (si sta valutando la platea, costo orientativo 117 milioni) e il sottosegretario leghista Claudio Durigon vorrebbe la flat tax al 5% per i giovani (700 milioni di euro in tre anni). Ogni partito della coalizione, come sempre, ha le proprie idee. Ma la volontà politica di aumentare la disponibilità del ceto medio è comune. L’intenzione, come era già nel 2022, è farne un’operazione «di legislatura». Dunque da avviare nella legge di bilancio che sarà varata a dicembre e da portare a termine alla fine del 2026, sigillando così, prima del voto, il rispetto degli impegni sottoscritti cinque anni prima. Un passo per volta, insomma, in nome della difesa dell’equilibrio dei conti pubblici, che in questi anni ha pagato molto bene, anche in termini di credibilità internazionale e spread. Marco Osnato, presidente della commissione Finanze e deputato di Fdi, ieri lo ha detto con realismo: il percorso per raggiungere gli obiettivi fiscali indicati dai diversi partiti della maggioranza «non è sempre compatibile con la realtà in cui stiamo agendo, ma in un arco di legislatura siamo convinti di perseguirli tutti».

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L’altro fronte cui si lavora nel governo è un intervento sulle buste paga. Non certo il salario minimo che vuole la sinistra, ma una proposta cara alla Cisl, il cui ex segretario, Luigi Sbarra, è entrato nel governo come sottosegretario, e la cui leader attuale, Daniela Fumarola, è un’interlocutrice apprezzata della premier. Consiste nel sottrarre alla tassazione progressiva tutte le parti variabili dei salari, come quelle legate al lavoro notturno e festivo e agli straordinari, ora tassate come la retribuzione ordinaria, per sottoporle a un’imposta secca, una “flat tax” a bassa aliquota, come già previsto per alcune categorie, tra cui gli infermieri. Contemporaneamente si vuole semplificare il prelievo sui premi di produzione, ora sottoposto a regole complicatissime. La filosofia è «più lavoro, e meglio lavoro, più guadagno»: la stessa da cui è nata la legge «per la partecipazione dei lavoratori alla gestione, al capitale e agli utili delle imprese», varata a giugno e frutto della sintonia tra governo e Cisl.

Altro dovrebbe arrivare dal comparto previdenziale. Col “bonus Giorgetti” si aumenta il netto in busta paga per coloro che potrebbero andare in pensione anticipata, ma decidono di continuare a lavorare. Il prezzo da pagare, in questo caso, è una riduzione della futura pensione. Il governo sta valutando anche la fattibilità del ripristino di una rivalutazione integrale (o quasi) delle pensioni di medio importo. Oggi per gli assegni sopra ai 2.993 euro la percentuale di rivalutazione è ridotta al 75%, e lì dentro ci sono milioni di pensionati che non possono certo dirsi ricchi.

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