Le cose accadono fuori dalla bolla dei social media. Il mondo è diviso tra la società del commento (e del rancore) e l’universo dei costruttori di futuro. Il distacco è abissale. Faccio una breve passeggiata nella realtà: ieri il Consiglio dei ministri ha approvato la legge di Bilancio da 18,7 miliardi di euro che mette più soldi in tasca agli italiani; sempre ieri l’agenzia Dbrs Morningstar ha alzato il rating dell’Italia, abbiamo una A davanti e un trend stabile, e nel commentare la decisione ha sottolineato che il governo Meloni «si sta dimostrando stabile e credibile»; da lunedì a venerdì il Tesoro collocherà una nuova emissione di Btp Valore, titoli di Stato per i piccoli risparmiatori con un rendimento più elevato rispetto a quello ordinario; la rotta è tracciata nel Documento programmatico di Bilancio, presentato in Consiglio dei ministri il 14 ottobre scorso, offre un quadro con gli indicatori di finanza pubblica ancora in miglioramento rispetto al 2024 e l’Italia in uscita dalla procedura europea di deficit eccessivo.
Sono fatti che parlano di buon governo, di serietà nella gestione dei soldi degli italiani, di responsabilità, e quando Giancarlo Giorgetti usa la parola «miracolo» non è un’iperbole del ministro dell’Economia, perché basta alzare lo sguardo dalla tastiera per vedere che gli altri Paesi europei stanno annegando in un mare di guai (ieri Standard & Poor’s ha tagliato il rating della Francia). Il governo guidato da Giorgia Meloni, quello che secondo la tigre di carta della sinistra doveva condurci al fallimento, è il migliore in Europa, quello più stabile, affidabile, virtuoso, come testimoniato dal miglioramento storico dei giudizi delle agenzie di rating. Ai parlamentari dell’opposizione questi risultati non interessano, lavorano contro la patria, la dileggiano all’estero, con la complicità dell’internazionale progressista - in pieno declino - sperando di creare difficoltà a Palazzo Chigi. Sono impegnati nella gara allo sfascio, nuotano in un oceano di demagogia. E vi stanno affogando.
Non c’è un solo tema dell’agenda della contemporaneità in cui abbiano dato un contributo costruttivo, non toccano mai palla perché non vogliono giocarla, la buttano in tribuna e inseguono il “caso del giorno” mostrando tutto il loro vuoto, l’assenza di pensiero. In piena bancarotta culturale, si sono affidati ai rottami del salottino radical chic e il risultato di cotanto sforzo intellettuale è che hanno passato tre annidi legislatura a lanciare l’allarme fascismo, mentre in Francia e in Germania si guarda alla formula del centrodestra italiano per trarne lezioni utili di governo.
La politica estera e le scelte di bilancio non sono separate, sono la faccia della stessa medaglia. Basta leggere gli atti del governo per capirlo, il Documento programmatico di Bilancio offre un ampio scenario, è il terreno ricco di insidie e opportunità in cui si muove l’Italia. La manovra riflette le sfide che dobbiamo affrontare, tiene conto dei limiti dell’Unione europea, delle risorse interne, del ciclo economico, degli shock globali e del Nuovo Mondo plasmato dagli Stati Uniti d’America. Quando nel novembre del 2024, Stephen Miran, capo degli economisti della Casa Bianca e consigliere della Federal Reserve, mise nero su bianco il programma della seconda amministrazione Trump, furono pochi a leggerlo e ancora meno furono quelli che lo presero sul serio. Sbagliarono. E continuano a perseverare nell’errore. Finita l’era del pilota automatico, siamo in un altro capitolo della storia, la politica della Difesa americana è strettamente legata a quella del commercio e dei nuovi dazi, il problema dell’immigrazione, della sicurezza interna e del disagio sociale (la diffusione delle droghe che stanno decimando un’intera generazione di giovani americani) si proietta sulle relazioni con gli Stati confinanti a Nord e a Sud (Messico e Canada) e il Sudamerica dove il narco-regime del Venezuela di Maduro è diventato un bersaglio militare.
Trump con l’Europa sta cercando un nuovo rapporto di «reciprocità», come ha scritto Oren Cass su Foreign Affairs la politica americana degli ultimi 30 anni è arrivata a fine corsa e «lungi dal produrre un’utopia di prosperità condivisa e pace stabile (...) ha invece portato a un ordine economico globale che consente ad altri paesi di sfruttare la generosità di Washington, a un avversario autoritario in ascesa come la Cina e a conflitti latenti in tutto il mondo in cui le aspettative sull’impegno americano superano di gran lunga la realtà delle capacità americane, il tutto contribuendo al declino economico e sociale degli Stati Uniti».
È una realtà dura da accettare per le élite europee, ma questa storia è finita. Il governo italiano ha percepito il cambio epocale prima degli altri Stati dell’Unione, per sintonia culturale con i Repubblicani, antichi rapporti che si sono rivelati preziosi, una lettura attenta dei fatti che si stavano materializzando con una velocità impressionante. Palazzo Chigi ha varato una politica economica prudente per necessità (le condizioni di bilancio ereditate con il bancomat del superbonus e del reddito di cittadinanza) e soprattutto per una corretta analisi dello scenario futuro, così quando Trump ha fatto decollare le politiche Maga, l’Italia si è fatta trovare pronta all’impatto, Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti hanno mostrato sangue freddo e conoscenza del quadro di riferimento, hanno mantenuto la linea atlantista e europea, senza fughe in avanti, aprendo al negoziato sui vari dossier e chiudendo a ogni ipotesi di strappo con la Casa Bianca.
In soli 10 mesi il mondo è cambiato e, come ha ricordato Giorgia Meloni nel suo intervento all’Onu, la guerra in Ucraina ha prodotto effetti permanenti nell’assetto internazionale che è sempre l’articolo di Cass su Foreign Affairs a inquadrare nella fine delle illusioni: «Più di 40 basi militari statunitensi e circa 80.000 soldati americani in Europa non sono serviti a dissuadere la Russia dall’invadere la Georgia nel 2008, poi la Crimea nel 2014 e infine il resto dell’Ucraina nel 2022. L’unico effetto percepibile di questi massicci dispiegamenti è stato quello di scoraggiare gli alleati europei di Washington dall’investire nella propria difesa». Questa storia è finita. Nel pieno di una rivoluzione dell’ordine internazionale, con l’Europa che aspetta Godot, la sinistra italiana è riuscita a stare dalla parte sbagliata della storia: ha mancato l’appuntamento con il piano di pace di Trump e Netanyahu per Gaza e ieri, sul dossier che per noi è vitale, l’Ucraina, spiazzata ancora una volta dall’iniziativa della Casa Bianca, è andata a rimorchio dell’élite brussellese che invoca l’arresto di Putin nel prossimo vertice tra Stati Uniti e Russia a Budapest.
Le politiche di bilancio e la politica estera non sono scisse, sono le facce della stessa medaglia. E i risultati per l’Italia sono tangibili, un credito da spendere nel finale della legislatura. Sempre ieri, il Fondo monetario internazionale ha dato un giudizio eccezionale sui nostri conti, Alfred Kammer, direttore del dipartimento europeo del Fmi, ha ricordato «la sovra-performance notevole dell’Italia sul deficit lo scorso anno» e annunciato che «secondo i dati anche quest’anno sarà migliore delle attese, è fantastico». Dalla realtà è tutto. Studio, a voi la linea, continuate a raccontare un altro mondo nei talk show.