L'editoriale

Abbiamo rotto il tabù: cambiare l'euro si può

Nicoletta Orlandi Posti

di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet Ops! Adesso lo dicono anche fior di industriali, non solo noi poveri pirla di Libero. Ieri in rapida successione due pesi massimi come Sergio Marchionne e Marco Tronchetti Provera hanno detto chiaro e tondo che con questo euro non si va da nessuna parte. Non sostengono che sia ora di uscirne, di rottamarlo per sostituirlo con la lira o con qualche altra valuta. Tuttavia spiegano che così non va e che la nostra economia e le loro esportazioni con le attuali condizioni non possono reggere. Quando giorni fa abbiamo aperto la strada per discutere di un argomento tabù come l’euro, qualcuno ci ha presi per matti o invasati che si illudono sia possibile ripensare la moneta unica. Il dibattito sembrava destinato a spegnersi in pochi giorni, come una di quelle cose teoriche che non possono avere alcuna applicazione. Invece, ecco qua. Ora l’argomento è di grande attualità. C’è chi, banchieri o grandi finanzieri, confida di pensarla come noi: e cioè che si debba studiare cosa conviene di più al nostro Paese senza paura, ma poi non ha il coraggio di dirlo apertamente, anche se le sue parole peserebbero e farebbero apparire l’argomento non solo un esercizio scolastico.  C’è chi al contrario rompe il fronte e invece dice bello forte e chiaro che c’è qualcosa da rivedere nell’euro. Come ricorderete, il nostro ragionamento era partito da una considerazione semplice semplice. Guardando il grafico della bilancia commerciale di Italia e Germania ci eravamo accorti che le due linee, che prima viaggiavano quasi parallele, un po’ su la nostra, un po’ sotto quella tedesca, improvvisamente si intersecavano e la linea della bilancia teutonica prendeva a salire forsennatamente, mentre quella italica scendeva altrettanto precipitosamente. E guarda caso l’anno di inizio del fenomeno coincideva proprio con l’entrata in vigore della tanto decantata moneta unica. Ora, qualcuno potrebbe dire che noi banalizziamo e ci fermiamo alle apparenze. In realtà noi andiamo al sodo e il sodo dice che da quando c’è l’euro l’Italia fa fatica a piazzare all’estero le sue merci, mentre la Germania va a gonfie vele. E non serve un premio Nobel per capire che, mentre prima noi potevamo giocare con la liretta, svalutandola quando era il caso per essere più competitivi sui mercati internazionali, dal 2002 ciò non è più possibile e dunque le nostre imprese fanno una fatica boia ad essere competitive.  In pratica, l’euro ha fatto un grosso piacere ad Angela Merkel e ai suoi connazionali: non a caso i mangia crauti difendono la moneta e le sue regole come se fossero delle reliquie, montando intorno a esse una guardia ferrea. Ma in questo modo la Germania ci condanna a morte, mandando al patibolo la nostra economia e le nostre aziende.  Esattamente quanto ieri ha dichiarato l’amministratore delegato della Fiat, il quale si è detto scioccato dalla decisione della Banca centrale europea di non abbassare i tassi. Per il manager il valore attuale dell’euro è sproporzionato rispetto alle nostre capacità di competere, «perché non aiuta l’economia, non aiuta nessuno».  Marchionne ha invitato a un ripensamento, citando le strategie diverse di Giappone e Stati Uniti, due Paesi che per rilanciare le proprie industrie hanno aperto i rubinetti del credito, al contrario dell’Europa che li ha chiusi. Più chiaro ancora l’uomo che guida la Pirelli: in quattro parole ha auspicato una svalutazione immediata, «più prima che dopo».  E Jacopo Morelli, presidente dei giovani di Confindustria, ha rincarato sollecitando un cambio di rotta, perché finora l’Europa ha prodotto solo 3,8 milioni di nuovi disoccupati, con un calo della produzione del 12 per cento. Insomma, qualcosa si  muove nello stagno dell’economia e anche da noi, come in altri Paesi, ci si comincia a chiedere se questa sia la strada per far ripartire la crescita o se, al contrario, l’eccesso di rigore e la cieca osservanza delle linee volute dalla Germania non ci stia portando nella direzione opposta, condannandoci a un lento ma inevitabile declino.  Pure Silvio Berlusconi giovedì ha impugnato la bandiera della revisione dei rapporti tra noi e i tedeschi, invitando il presidente del Consiglio a ingaggiare un braccio di ferro con Angela Merkel, a costo di ripensare l’euro. Il tabù è violato. Finalmente se ne parla in libertà. Non siamo ancora alla soluzione del problema, ma almeno si comincia a capire che il problema è l’euro. E pure la Germania.