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Corte Suprema, a Londra torna la ragione: "Un trans non è una donna"

Vittoria per le femministe che avevano chiesto l’abrogazione delle leggi di riconoscimento del gender: quello che conta è il sesso alla nascita
di Costanza Cavalli giovedì 17 aprile 2025

3' di lettura

È vero solo un po’ che dobbiamo esser contenti per la sentenza della Corte suprema britannica. È vero a metà perché ci sono voluti sette anni di battaglia in tribunale e di diritti cestinati per sentirsi dire che la definizione legale di “donna” si basa sul sesso biologico e non sul genere acquisito, e che «il concetto di sesso è binario». Ovvero, le donne transgender – uomini che si indentificano come donne, indipendentemente da cure ormonali e chirurgia – non sono donne biologiche e non possono quindi accedere a quote e servizi riservati alle donne.

Come è stato possibile che nel Regno Unito servisse il pronunciamento della Corte per stabilire un concetto che, si è congratulato il biologo evoluzionista Richard Dawkins, risale al Precambriano? La battaglia legale è cominciata nel 2018, quando il governo scozzese, guidato da Nicola Sturgeon, approvò una legge destinata a incrementare le quote rosa nella pubblica amministrazione, in nome delle pari opportunità. Le tutele vennero successivamente estese ai transgender in possesso di un Certificato di riconoscimento di genere, il documento che registra il cambio di sesso sul certificato di nascita e che si ottiene se vengono rispettati determinati criteri. Tra gli altri, una diagnosi di disforia di genere e la dimostrazione di vivere nel genere acquisito da almeno due anni. I transessuali potevano cioè rientrare nelle quote riservate alle donne (e senza dar fastidio con gravidanze e congedi di maternità: il compimento del sogno dei progressisti, la cancellazione del femminile attraverso la neutralizzazione della differenza sessuale).

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Dopo la decisione del governo, il gruppo di attivisti For Women Scotland intentò una causa legale e, per ben due volte, nel corso degli anni, hanno perso: il sesso «non è limitato al sesso biologico o alla nascita», furono le sentenze, e include coloro che sono in possesso del certificato in questione. Da qui, la necessità degli attivisti di “superare” il diritto scozzese e aggrapparsi a quello britannico, portando il caso fino alla Corte Suprema, alla quale le femministe, lo scorso novembre, hanno chiesto: «Una persona con un Certificato di riconoscimento di genere che dimostra che il suo genere è femminile, è una “donna” ai sensi dell’Equality Act 2010?» (una legge dell’era di Gordon Brown, applicabile in tutta la Gran Bretagna e secondo la quale, sul posto di lavoro e nella società, è illegale discriminare chiunque rientri in determinate “categorie protette” per età, razza, disabilità, sesso, orientamento sessuale, religione, maternità).

Ieri, la sentenza, lunga 88 pagine: «La decisione unanime di questa Corte è che i termini “donna” e “sesso” nell’Equality Act del 2010 si riferiscono a una donna biologica e al sesso biologico», ha dichiarato Patrick Stewart Hodge, vicepresidente della Corte, nel pronunciare la determinazione. La definizione di sesso contenuta nell’Equality Act, si legge, prevede un concetto binario: una persona è o una donna o un uomo. Sebbene il termine “biologico” non compaia esplicitamente nella definizione, il significato ordinario di tali parole, chiare e non ambigue, corrisponde alle caratteristiche biologiche che determinano se un individuo è un uomo o una donna. Secondo la Corte, l’interpretazione è ovvia e non richiede ulteriori spiegazioni: uomini e donne sono distinti nella definizione in virtù della biologia che condividono, formando così gruppi distinti a seconda del sesso biologico. Un’interpretazione basata sul “sesso certificato” si configurerebbe quindi come un’interpretazione incoerente rispetto alla definizione della caratteristica protetta del sesso.

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Le donne di For Women Scotland «hanno protetto i diritti delle donne e delle ragazze in tutto il Regno Unito», ha esultato su X J.K. Rowling, che da anni si batte contro la deliberata fusione tra sesso e genere. La scrittrice è stata definita transfobica e minacciata di morte per le sue battaglie a favore dei diritti delle donne: dicendo, per esempio, che aprire le porte dei bagni a qualsiasi uomo che si sente una donna significa aprire la porta a tutti gli uomini che desiderano entrare, o che, se a un uomo è sufficiente dire di essere una donna per diventare una donna, la conseguenza è che i transessuali entreranno nei reparti di ospedale, nelle case rifugio, nelle carceri e che, nello sport, gareggeranno contro le donne. $ vero solo un po’ che dobbiamo esser contenti di sapere chi siamo, se “donne” o “uomini”, da una sentenza. E' vero a metà perché per “tutelare” l’uno per cento della popolazione, i transgender, sono stati ignorati i diritti del 51 per cento della popolazione, le donne.

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