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Zelensky è in difficoltà perché si è fidato dell’Ue

Il presidente ucraino ha tre diversi problemi: è fuori (per ora) dalla stanza dei bottoni, il fronte è un colabrodo e in patria è sempre meno popolare
di Costanza Cavalli venerdì 15 agosto 2025

4' di lettura

Celebrato e disprezzato in egual misura, Volodymyr Zelensky è asceso al pantheon degli ucraini quando rifiutò l’offerta statunitense di fuggire da Kiev: all’alba del 24 febbraio 2022 Vladimir Putin annunciò “l’operazione militare speciale” nell’Ucraina orientale, Joe Biden si offrì di portare il leader ucraino al sicuro, la risposta fu hollywoodiana. «Ho bisogno di munizioni, non di un passaggio», disse. Battuta da applausi, se non fosse che, secondo il New York Times, «il team di Biden considera la storia apocrifa... ma la creazione di miti è uno strumento comune in guerra». All’epoca la sua popolarità in patria salì alle stelle, raggiungendo l’84%.

Tutti i leader europei, ancora fiduciosi nell’esistenza di un sacro ordine internazionale basato su regole certe, fecero a gara per dare allo zar del «criminale di guerra». Con il risultato che a tre anni di distanza, Zelensky, che si era fidato delle spacconate ad armi spuntate dell’Ue, ha tre questioni cui pensare: è stato escluso dal summit tra Washington e Mosca dove si deciderà il futuro del suo Paese; le forze armate di Kiev stanno affrontando il momento più duro sul campo di battaglia dell’ultimo anno; sul fronte interno deve affrontare il crollo dell’indice di gradimento, ed è pure spuntato un rivale.
Confinato fuori dalla stanza dei bottoni, il leader ucraino è consapevole che una tregua temporanea non genererebbe una pace durevole. Nonostante le rassicurazioni di Donald Trump – e cioè che un eventuale accordo per mettere fine alla guerra richiederà un vertice trilaterale: «Non voglio usare il termine “spartirsi le cose”, ma in un certo senso non è un termine sbagliato. Ci sarà un dare e avere per quanto riguarda i confini», ha dichiarato il presidente americano a Fox News Radio – Zelensky sa di non poter fare a meno degli alleati statunitensi (che da gennaio hanno sospeso due volte le spedizioni di armi e una volta la condivisione di informazioni di intelligence con Kiev) ed europei. Un’Ucraina disarmata è un’Ucraina condannata.

Realisticamente, l’idea che Kiev ceda territori a Mosca non è più una linea rossa, anche se Zelensky, inesausto, ha ripetuto che l’Ucraina non cederà neanche un lembo di terra perché proibito dalla Costituzione: il presidente non ha, cioè, alcun diritto legale di alterare l’integrità territoriale dell’Ucraina. Il fronte, inoltre, «è un colabrodo», ha scritto Stansislav Bunyatov, militare e blogger ucraino. Le linee difensive risentono della carenza di manodopera, la fanteria si sta riducendo, le diserzioni aumentano. Secondo una stima del Telegraph, oltre 400 soldati al giorno abbandonano il campo di battaglia e 650mila uomini in età da combattimento sono fuggiti. Altri si nascondono o corrompono ufficiali di leva e psichiatri dell’esercito per ottenere esenzioni sanitarie.

Nei pressi della città mineraria di Dobropillia, nella regione del Donetsk e cruciale polo logistico, le forze russe, pur con enormi perdite di uomini, sono avanzate di 15 chilometri in pochi giorni. «La situazione in prima linea sta degenerando e potrebbe essere sfruttata da Putin per dipingere a Trump un’Ucraina disperata», ha analizzato sul Financial Times Michael Kofman, ricercatore del Carnegie Endowment for International Peace. Lontano dai combattimenti, ristoranti, locali notturni e teatri sono pieni (vedi Leopoli e Kiev, per esempio), ma è qui, dove la vita sembra quasi normale, che i cittadini hanno manifestato contro la una legge che avrebbe indebolito l’indipendenza e l’autorità di due istituzioni anticorruzione (l’Ufficio Nazionale Anticorruzione e la Procura Specializzata Anticorruzione) e le avrebbe messe sotto il controllo del procuratore generale. In difesa della legge, a fine luglio, Zelensky ha fatto riferimento a possibili «influenze russe». Per giornalisti e opposizione si è trattato di un tentativo di accaparramento di potere innescato da una serie di indagini sui membri della cerchia del presidente. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha alzato il telefono per esprimere le «forti preoccupazioni» e chiedere «spiegazioni» sulla norma, a maggior ragione in un Paese che «ha già compiuto molti progressi nel suo percorso europeo».

Gli ucraini, infine, sono scesi in piazza per la prima volta dall’inizio dell’invasione russa (non sono gente che scherza: in poco più di vent’anni si sono ribellati ai governi due volte, con la rivoluzione arancione del 2004 e nel 2014 con l’Euromaidan). Zelenskyy è stato costretto a presentare una nuova legge per ripristinare l’indipendenza delle agenzie anticorruzione. Intanto, però, secondo un sondaggio del Kyiv International Institute of Sociology, il suo indice di gradimento è calato per il terzo mese consecutivo, dal 65% di giugno al 58% di luglio. E ora, oltre al nemico alle porte, potrebbe trovarsene uno anche in casa: l’ex comandante in capo delle forze armate e ora ambasciatore dell’Ucraina nel Regno Unito, Valery Zaluzhny, che ha appena posato per Vogue Ucraina tutto ripulito. Via la divisa, abito blu notte su misura. A Trump piacerebbe certamente di più della mimetica di Zelensky.

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