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Ucraina, servono garanzie vere o esploderà

Questo giornale spiega - da mesi, non solo da ieri - che occorre una robusta dose di realismo per arrivare alla fine della guerra di aggressione di Mosca contro Kiev
di Daniele Capezzone lunedì 18 agosto 2025

4' di lettura

Questo giornale spiega - da mesi, non solo da ieri - che occorre una robusta dose di realismo per arrivare alla fine della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina. La “pace giusta” - per definizione - non esiste, purtroppo: al massimo, si tratta di provare a realizzare la “pace possibile” alle condizioni date. E dunque, c’è poco da fare: è indubbiamente doloroso e appunto - ingiusto, ma ormai non si vede come si possa sottrarre al controllo di Mosca il 20% di territorio ucraino che l’orso russo ha già più o meno addentato. O purtroppo è quasi la stessa cosa - di quei brandelli di territorio che la Russia sta per assicurarsi sul campo in queste settimane.

Da questo punto di vista, è assolutamente saggia - gliene va dato atto - la posizione di Giorgia Meloni, che per prima e tenacemente, da mesi, ha iniziato a ragionare anche in modo creativo sulla contropartita di sicurezza da assicurare a Kiev. E, se ci fosse un minimo di onestà intellettuale nella sinistra politica e mediatica (sveliamolo subito: non c’è), anche da quelle parti giungerebbe sostegno all’idea del Presidente del Consiglio, che ora che Donald Trump sembra aver preso in considerazione, di offrire all’Ucraina, dopo la pace, in cambio delle dolorose rinunce territoriali, garanzie di protezione simili a quelle di un membro NATO anche senza che Kiev entri formalmente nell’Alleanza.

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Sul versante opposto, e così archiviamo l’analisi del quadro politico, fa tristezza e rabbia che la sinistra provi a usare l’oggettiva drammaticità della situazione attuale in Ucraina come argomento di invettiva, di strillata da assemblea scolastica (di volta in volta, contro Trump, contro Salvini, contro Meloni), pur sapendo bene quanto i suoi “campioni”, da Joe Biden a Emmanuel Macron, abbiano avuto a disposizione tre lunghi anni per combinare qualcosa. Invano, come si sa. Ma non perdiamo il filo. La supersintesi è presto fatta: sinistra non credibile, Meloni che si è comportata in modo ineccepibile, alcuni dirigenti del centrodestra (cito il sottosegretario Fazzolari) che hanno manifestato sempre posizioni coraggiose anche quando era meno conveniente sul piano del consenso, e - come dicevo cessioni territoriali inevitabili (fino al citato 20%).

Ciò detto, sorge però una preoccupazione che va sollevata “da destra”, cioè con argomenti pro Occidente e pro pacifica convivenza tra nazioni sovrane. Poniamo che Volodymyr Zelensky accetti l’inevitabile, beva l’amaro calice, e dica sì alla perdita del 20% del suo territorio. Come mai - a quel punto - diventa cruciale che la protezione militare e politica offerta in contropartita sia vera ed effettiva, per capirci al contrario di ciò che accadde dopo il 1994, quando Kiev - fidandosi - cedette a Mosca le sue testate nucleari in cambio di pace, e ne ottenne qualche anno dopo solo guerra e invasioni?

Come mai, dicevo, diventa decisivo quell’ombrello militare? Perché in mancanza di questa garanzia vera, sarà il restante 80% del territorio ucraino a saltare e a diventare una polveriera. Badate bene: non solo una polveriera elettorale, con la posizione di Zelensky a rischio (e questo sarebbe ovviamente solo affar suo, dei suoi avversari interni e degli elettori). Ma una polveriera con pezzi di società ucraina che- vistisi abbandonati - potrebbero a loro volta consegnarsi ai russi, e soprattutto altri segmenti- con motivazioni miste - darsi rapidamente a una guerriglia infinita e al terrorismo, a una forma disordinata e incontrollabile di “resistenza” contro l’invasore di Mosca. E non occorre un esperto di storia per sapere quale sarebbe a quel punto la reazione russa: nuova rappresaglia, nuova invasione, nuovo fiume di sangue.

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Morale (da destra, non da sinistra!). Le guerre vanno chiuse non necessariamente in modo “giusto”, ma almeno “bene”, cioè con un bilanciamento ragionevole, e con le ferite - per quanto possibile - suturate. È dunque certamente inevitabile - in una logica di “realismo” - che le grandi potenze si intendano tra loro. Può piacerci o meno. Molti di noi preferivano la situazione ai tempi di Reagan e Thatcher, quando la schiacciante superiorità occidentale veniva fatta valere fino in fondo. Oggi, per paradosso, è invece Mosca a esercitare deterrenza verso l’Occidente, che la subisce, incluse le sgradevoli e surreali lezioncine putiniane sulle “cause prime” e sulle “radici” del conflitto. Ma è inutile deplorare lo stato di cose presente. Occorre almeno - è realismo anche questo, guai dimenticarlo - che la piccola Ucraina non sia umiliata dalle intese prossime venture. Se lo fosse, il problema resterebbe tragicamente irrisolto: non con Zelensky, ma con qualche milione di ucraini. La ferita resterebbe aperta, e diverrebbe presto fonte di nuove atrocità. Meglio pensarci prima.

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