Ci vorranno ancora due mesi esatti per avere il nome del nuovo presidente boliviano ma una cosa è certa, quel presidente non sarà di sinistra. Non ci si poteva aspettare altro dopo 20 anni ininterrotti di socialismo al potere, i disastri economici e sociali che ne sono scaturiti, e la lotta senza esclusione di colpe tra l'ex presidente chavista Evo Morales e quello attuale Luis Arce, ma la sconfitta è ancora più clamorosa se si esaminano i risultati del primo turno elettorale. Al primo posto con oltre il 32% si è collocato con una certa sorpresa il democristiano centrista Rodrigo Paz Pereira, senatore e figlio dell'ex presidente Jaime Paz Zamora (1989-1993) che nei sondaggi non è mai andato oltre la singola cifra. Il ballottaggio, il primo della storia boliviana, si terrà tra lui e Jorge Quiroga, esponente di centrodestra, a sua volta già presidente tra il 2001 e il 2002, che ha ottenuto il 27%.
Secondo gli osservatori Pereira deve la sua vittoria al calo pentito del candidato imprenditore Samuel Doria Medina, di estrazione socialista ma capo di una coalizione centrista, dipinto all'estero dai giornali progressisti come un candidato di destra. Medina deve questa sua variegata connotazione politica principalmente alla sua ammirazione per l'argentino Milei e per il suo aperto filoamericanismo che gli sono valsi nell'ultima settimana una serie di attacchi sui social e il 19,89% alle elezioni, ben al di sotto di quanto i sondaggi gli davano. Non abbastanza dunque per giocarsi la presidenza a ottobre, ma Medina ha già comunque dichiarato che al ballottaggio appoggerà Pereira, consegnandogli un'opzione di vittoria del tutto virtuale, visto che gran parte del suo elettorato è dichiaratamente di destra.
E in tutto questo la sinistra che fine ha fatto? Il candidato più votato è stato il presidente del Senato Andrónico Rodríguez con appena l'8,11%, mentre Eduardo Del Castillo ex ministro di Arce e candidato alla presidenza con Mas, è molto indietro con il 3,14%. La terza opzione era rappresentata dal voto nullo richiesto a gran voce da Evo Morales, l'unico modo per far sentire la sua presenza politica nell'impossibilità di presentarsi visto il mandato d'arresto che grava sulla sua persona per «stupro e traffico di esseri umani» aggravati da una presunta relazione con una minore con la quale ha avuto un figlio nel 2016.
Nonostante i gendarmi alle calcagne Morales è andato a votare nella sua enclave di El Chapare a Cochabamba circondato da un centinaio di militanti. Dopo aver detto che a La Paz «hanno messo fuori legge il più grande movimento del paese» ha annunciato di aver annullato il suo voto e ha invitato i suoi sostenitori a fare lo stesso. Alla fine i voti nulli sono risultati il 19,01% contro una media storica del 3%. Un magro esito per uno che per 15 anni di fila ha ottenuto più del 50%, con la beffa che i voti nulli non sono validi e quindi hanno di fatto consegnato una percentuale maggiore ai due vincitori.
La sfida per la presidenza dunque è ancora aperta, ma tutta in direzione centrodestra. Da una parte c'è Pereira che ha promesso una «forma di capitalismo più inclusivo», una «riconciliazione nazionale», ma anche un cambiamento radicale del sistema politico e di quello produttivo affinché l'economia «non appartenga più allo Stato ma al popolo». Dall'altra c'è Quiroga, entrato anche lui in politica grazie al padre della rivale e che assicura che promuoverà gli investimenti stranieri per l'esplorazione di petrolio e gas, nonché per la produzione di litio di cui la Bolivia è uno dei massimi esportatori. Quiroga non è certo un novellino, è la quarta volta che aspira alla presidenza della Bolivia, ma l'unica volta che assunse la carica ci arrivò da vicepresidente, sostituendo Hugo Bánzer che si ammalò di cancro e poi morì.