Se c’era qualche dubbio sulla posizione reale di Putin, è stato lo stesso Zar a chiarire le cose: ha incassato nell’incontro in Alaska tutti i riconoscimenti possibili e immaginabili sul terreno mediatico compreso quello simbolico del tappeto rosso ma poi non ha concesso a Trump la tregua militare da lui richiesta. Anzi, subito dopo, è ripartito con i bombardamenti sull’Ucraina e per non lasciare dubbi sulle sue intenzioni strategiche li ha concentrati su Kiev e persino sui palazzi di rappresentanza dell’Unione Europea. Putin ha due obiettivi: rimettere le mani sull’Ucraina recuperando direttamente pezzi di territorio non ancora conquistati, e per il resto “neutralizzandola”, senza garanzie e coperture significative da parte americana e da parte europea in modo da tenerla perennemente sotto tiro e alla fine di ridurla in una condizione simile, anche se non proprio identica, a quella della Bielorussia. Il secondo obiettivo riguarda l’Europa: proprio perché l’Europa, anche nelle ultime triangolazioni con Trump, si è schierata con Zelensky, essa è nel mirino di Putin, che vuole dividerla e umiliarla.
Putin fa tutto ciò a nome suo, ma anche avendo un retroterra internazionale, che va dalla Cina alla Corea del Nord, e ovviamente all’Iran, mentre l’India è al centro di molte pressioni. In una situazione del genere è evidente che ogni sforzo va fatto sia da parte di Zelensky sia da parte dell’Europa, e in essa dell’Italia per far capire a Trump che essendo storicamente gli Usa l’elemento fondamentale di guida dell’Occidente, in ultima analisi, quello che Putin sta facendo ha per obiettivo proprio quello di smontare la leadership degli Stati Uniti nel mondo. È evidente oramai che Trump è l’imprevedibilità fatta persona ma proprio per questo può giocare in direzione di segno diverso. Al di là delle schermaglie di questi giorni sotto molti aspetti con le sue ultime iniziative, quali i bombardamenti ripetuti su Kiev, Putin ha esagerato anche rispetto ai margini di manovra che comunque Trump aveva messo in conto di concedergli. Ciò detto oggi la prima questione politica è proprio quella militare: è fondamentale che gli Usa e l’Ue, al netto di tutte le loro discussioni, mettano l’Ucraina nelle condizioni di “tenere” rispetto agli attacchi militari: paradossalmente l’unico modo per creare le condizioni della pace è quello di consentire alla Ucraina di continuare a resistere perché questa è l’unica via per costringere Putin a entrare nell’ordine di idee di trattare per una pace equilibrata.
Riflessione che riguarda anche alcuni soggetti politici italiani: in tutti questi mesi il Pd, con gli annessi Fratoianni e Bonelli, ha fatto mille prediche al governo italiano e alla stessa Europa per l’assenza di una iniziativa diplomatica riguardante l’Ucraina. Adesso che da alcuni mesi di iniziative diplomatiche in campo ce ne stanno di tutti i tipi, risulta evidente che al di là di poche battute verbali Putin non ha alcuna intenzione di sedere intorno a un reale tavolo di pace, ma vuole solo guadagnare tempo perché ha in testa solo quello che gli antichi chiamavano la Spada di Brenno (vae victis). E può essere convinto dell’inverso solo se da parte degli Usa e dell’Europa c’è una risposta sul terreno delle sanzioni e del sostegno militare alla Ucraina che consenta a quest’ultima di tenere. Ciò richiede anche che l’Europa sia in grado di fare un salto di qualità su una linea unitaria secondo quello che, parlando a Rimini, hanno detto in modo convergente Mario Draghi e la Premier Meloni. Un’ultima osservazione: noi siamo totalmente contrari alla politicizzazione dei festival di Venezia: sulla libertà “reale” del festival ha scritto parole del tutto condivisibili il suo presidente Buttafuoco. Ciò premesso, una domanda: di fronte ai bombardamenti ripetuti della Russi di Putin a Kiev hanno nulla da dire quei maître a penser del cinema italiano che hanno chiesto l’espulsione dal Festival di due attori perché israeliani o simpatizzanti con Israele?