Non c’è il “vento divino” a gonfiare le vele della Global Sumud Flotilla dei “volenterosi de noantri”, ma l’autoesaltazione messianica nel malinteso nome dei principi supremi di umanità. In attesa di sfondare il blocco navale in una zona di guerra come quella della costa israeliana dove si affaccia la Striscia di Gaza, in attesa di conoscere perché la flottiglia non si è mobilitata un paio d’anni fa contro Hamas per la liberazione degli ostaggi, in attesa di conoscere come mai tanto furore umanitario si è ben guardato dal rivolgersi verso il Mare Nero e quell’Azov sottratto dai russi agli ucraini, vediamo un po’ come sono andate le cose nella storia di fronte alle forzature della realtà. Senza andare troppo indietro.
I mongoli nel XIII secolo pensavano di ingoiare il Giappone in un boccone. Kublai Khan mandò nel 1274 una flotta gigantesca a invadere la terra dei samurai, ma non calcolò la possibilità di un tifone che sgominò navi e uomini. I nipponici lo chiamarono “vento divino” che nella seconda guerra mondiale avrebbe assunto una nomea universale e sinistra con la parola kamikaze. I mongoli riprovarono nel 1281 e bissarono il disastro epocale, perché il vento, divino o no, non tirava dalla loro parte. Quanto all’Europa, che dire degli spagnoli? Nel XVI secolo, con tronfia guasconeria, radunarono una flotta di cui non c’era memoria e sempre per essere modesti la chiamarono Invincibile Armata, o meglio Grande y Felicisima Armada, che era sì grande, ma non si rivelerà felicissima. Solo al terzo tentativo, nel 1588, riuscì a salpare per scontrarsi con gli inglesi e andò a dir poco maluccio.
Nel 1597 l’Armada doveva mettere l’Inghilterra a ferro e fuoco, e invece acqua e vento di due tempeste la fecero letteralmente a pezzi, il 12 agosto e il 12 settembre. Gli spagnoli non avrebbero invaso l’Inghilterra, e nessuno l’avrebbe mai più fatto dopo Guglielmo il conquistatore.
Napoleone andò a mettere i bastoni tra le ruote all’Inghilterra in Egitto e nel 1798 ad Abukir si ritrovò senza la flotta colata a picco dai cannoni di Horatio Nelson. Sarà forse per questo che il 3 luglio 1940 a Mars-el-Kebir, sotto il fuoco dell’artiglieria inglese, la flotta francese preferì autoaffondarsi, tanto per abbreviare i tempi e non fare una meschina figura. Messi in archivio gli scontri tra giganti a Midway e Leyte, arriviamo ai giorni nostri con la folkloristica Flotilla per Gaza, un po’ avventura in (quasi) solitaria, un po’ in sfida alle avverse condizioni meteo in nome della sfida al mondo, alla logica e al buon senso, che fa ritenere tutto sempre superiore a regole, diritto, conoscenza della storia e analisi dei fatti. Gran pavese con l’onnipresente quadricolore palestinese, probabilmente per captare la benevolenza e la simpatia della marina israeliana. Forse per questo i velisti pacifisti umanitari volevano dal governo italiano una protezione speciale, magari la scorta di una corvetta o di un incrociatore leggero della Marina militare per dissuadere Israele dall’intervenire, più di quanto esso abbia fatto con i disobbedienti civili tramite le “assicurazioni” sulle conseguenze gravi della violazione del blocco. Favolosa, perché appartenente al mondo delle favole, la pretesa di specialità dei Greta’s boys e soprattutto dei parlamentari di sinistra, che da rappresentanti delle istituzioni dovrebbero seguire le rotte istituzionali e non quelle del Mediterraneo alla ventura.
Riflettendo magari, che con la scusa di dare visibilità a un popolo, sventolano la bandiera del terrorismo che da mezzo secolo insanguina il mondo, sdoganando i tagliagole responsabili della mattanza del 7 ottobre e dell’attuale situazione che mette di mezzo tutti i palestinesi. I gazawi saranno pure gli stessi che quel 7 ottobre esultarono per il raid antiebraico, saranno pure gli stessi che diversamente dagli italiani non fanno distinguo tra antisionismo e antisemitismo volendo cancellare Israele dalla faccia della terra, come insegnano a scuola ai bambini, ma della loro attuale disperata situazione possono solo incolpare Hamas. E riflettere come e perché il mondo arabo, che a parole e a soldi li sostiene e li foraggia, non li vuole nei propri confini neanche come profughi. Lo dice e lo comprova il vento della storia. Non necessariamente quello divino.