CATEGORIE

Già 10 anni fa eravamo tutti Charlie, ma quella rivista è ancora un bunker

La sede della redazione non ha indirizzo, è protetta da sei porte blindate, per accedervi bisogna attraversare un sistema a raggi X
di Costanza Cavalli lunedì 15 settembre 2025

3' di lettura

Quando lo scorso 7 gennaio è stato ricordato il decimo anniversario dell’attentato terroristico islamico alla sede di Charlie Hebdo è passato tutt’al più sotto silenzio che i superstiti, tra giornalisti e i vignettisti, ancora oggi, disegnano e scrivono in un bunker, circondati da poliziotti armati. La sede della redazione non ha indirizzo, è protetta da sei porte blindate, per accedervi bisogna attraversare un sistema a raggi X. Asserragliata è anche la redazione del Jyllans Posten, il quotidiano danese che pubblicò le vignette su Maometto: circondata da sbarre, lastre metalliche, telecamere installate per un chilometro quadrato. I dipendenti entrano in macchina: la porta si apre, si procede con il veicolo, si chiude la porta alle spalle e viene aperta quella di fronte.

«Je suis Charlie», ha scritto ieri il direttore Maurizio Belpietro sulla Verità, fu lo slogan urlato nelle manifestazioni di mezzo mondo a favore della libertà di espressione (ma anche all’epoca ci furono quelli che dicevano fieramente «Je ne suis pas Charlie»). Oggi per il Charlie dell’America First non si vedono piazze piene, men che meno leader mondiali che sfilano nei cortei. Anzi, cito Belpietro, «intellettuali e politici invece di difendere il diritto di parola» si sono «messi a dare addosso al blogger americano». Tutti Charlie finché il conformismo etico, che altro non è se non infingardaggine morale delle élite contemporanee, non deturpa la loro immagine, «ma se tocchi il Charlie sbagliato - conclude il direttore - allora stanno più dalla parte dell’assassino che della vittima».

Kirk, la lezione dei Coldplay alla sinistra: il messaggio da brividi

Nel corso di un’esibizione dei Coldplay a Wembley, il frontman Chris Martin ha condiviso un messaggio di affetto p...

A distanza di dieci anni, però, possiamo constatare che i cortei furono sfilate, le prese di posizione un’ipocrisia, le parole dell’allora direttore di Charlie Hebdo, Stephane Charbonnier – «può sembrare pomposo ma preferirei morire in piedi che vivere in ginocchio» – scritte sull’acqua. Basti pensare che l’ex direttore del settimanale francese, Philippe Val, vive in una casa con finestre antiproiettile, una camera blindata e agenti armati all’esterno. Nel frattempo sono arrivati movimenti come la cancel culture, l’ideologia woke e le politiche identitarie che privilegiano le identità particolari rispetto a quelle universali, professano la decrescita e il socialismo come unica strada percorribile, fanno strame dello stato di diritto e dei diritti inalienabili di ogni individuo. Charlie Kirk avrebbe detto che siamo tutti creati a immagine e somiglianza di Dio e che è questo – e non l’etnia o il genere o il quoziente intellettivo o il conto in banca – a darci il nostro valore.

Questi movimenti hanno pervaso ogni ambito della vita americana, dal linguaggio alla famiglia, dalla fede alle comunità, dal lavoro al corpo umano, e poi – dopo che Kamala Harris disse, in un dibattito a Fox durante la campagna elettorale, che la sua Casa Bianca avrebbe pagato gli interventi chirurgici per cambiare sesso agli immigrati clandestini in carcere per crimini violenti – è arrivato Donald Trump. Che è figlio e non artefice della polarizzazione americana, nata dall’impatto della globalizzazione, dall’apertura alla Cina, dalle guerre senza fine, dalla crisi di Wall Street, dall’immigrazione incontrollata, dalla gestione del Covid nella miseria dei lockdown. Più che le manifestazioni di insorti da salotto, serve ascoltare il discorso che il governatore repubblicano dello Utah, Spencer Cox, ha pronunciato annunciando l’arresto del killer Tyler Robinson: «La vostra generazione – ha detto ai giovani – ha un’opportunità di costruire una cultura diversa da quella che stiamo soffrendo adesso. Non fingendo che le differenze non contino, ma abbracciandole e sostenendo conversazioni difficili. Sento sempre che le parole sono violenza. Le parole non sono violenza. La violenza è violenza».

L'accusa di Capezzone: "Si può sfregiare il cadavere di Kirk? Ecco chi ci sta riuscendo"

Daniele Capezzone nel suo Ochcio al caffè presenta i principali fatti che trovano spazio sui quotidiani nazionali...

tag
charlie hebdo
charlie kirk

Charlie Kirk, l'ultimo delirio di Fratoianni: "È finita l'estate, così..."

Oltre ogni limite Andrea Scanzi, orrore su Kirk e destra: "Mi vomitano glande, prepuzio e pure..."

E poi cancella tutto... Charlie Kirk, agghiacciante post di Gianni Cerqueti: "Hanno raddrizzato la mira"

Ti potrebbero interessare

Charlie Kirk, l'ultimo delirio di Fratoianni: "È finita l'estate, così..."

Redazione

Andrea Scanzi, orrore su Kirk e destra: "Mi vomitano glande, prepuzio e pure..."

Claudio Brigliadori

Charlie Kirk, agghiacciante post di Gianni Cerqueti: "Hanno raddrizzato la mira"

Ignazio Stagno

Piergiorgio Odifreddi, surreale replica a Meloni: "Io di sinistra?", dove si spinge

Andrea Carrabino