Ottant’anni sono perfino troppi, è un po’ che si sta trascinando il crepuscolo dell’istituzione globale (e globalista) per eccellenza. Non è solo l’immobilismo burocratico incenerito ieri da Donald Trump: «L’Onu non fa che parlare con parole vuote e scrivere lettere». È che, paradossalmente, quando il burosauro onusiano effettua un passo, risulta più dannoso, o comunque scientifico nella sua direzione di marcia: la sponda, esplicita o implicita, al cosmo delle autocrazie, sempre contro gli interessi occidentali, sempre accettando di buon grado i soldi del suo principale finanziatore, la più grande democrazia occidentale (nel 2024 gli Stati Uniti hanno garantito un terzo degli introiti della casa).
Non è (solo) uno squilibrio contabile, è la perdita dell’anima, che per stare al caso in cima all’agenda del Palazzo di Vetro in queste ore (l’incendio mediorientale, che da quelle parti è sic et simpliciter il riconoscimento irenico della Palestina monopolizzata dai tagliagole di Hamas) è datata subito dopo il pogrom. Il 7 ottobre «non è arrivato dal nulla», scandì il segretario generale Guterres, rendendo indistinguibile la sede delle Nazioni Unite da una birreria di Monaco degli anni ‘30. Ancora ieri vagheggiava la soluzione di “due Stati indipendenti, sovrani e democratici”, vero e proprio ircocervo dell’ipocrisia Onu. La verità è che la democrazia e il diritto da quelle parti sono un flatus vocis buono per giustificare la lussuosa sede nel cuore di Manhattan.
Quanto si traducano nell’azione geopolitica, Guterres & Co. ce lo mostrarono irrevocabilmente a neanche un mese dal macello degli ebrei, quando il Social Forum onusiano del Consiglio dei Diritti Umani venne presieduto dai mandanti dal macello: la Repubblica teocratica dell’Iran, dedita a impiccare gli omosessuali e sfracellare il cranio alle donne non velate. Ma lo strabismo filocoranico è strutturale: le teste d’uovo globaliste accettano che esista una Dichiarazione islamica dei diritti umani alternativa a quella (non) universale del 1948, promulgata il 19 settembre 1981 in sede Unesco, agenzia delle Nazioni Unite.
L’architrave giuridica pare una burla ossimorica: le libertà fondamentali valgono finché rimangono dentro la cornice della sharia, quindi un po’ meno del due di picche quando la briscola è quadri. È la contraddizione nel manico della vetusta associazione: la prosopopea astratta sui “diritti umani”, accompagnata allo sdoganamento concreto del relativismo delle culture. Una bancarotta valoriale che si rispecchia in un’incipiente bancarotta economica. Secondo una nota interna visionata da Reuters, il Segretariato delle Nazioni Unite si sta preparando a tagliare del 20% il suo bilancio di 3,7 miliardi di dollari e a dismettere 6.900 posti di lavoro su 33 mila. Lo stesso Guterres ha recentemente informato che l’anno scorso il Segretariato ha prodotto 1.100 rapporti, con un aumento del 20% dal 1990, chiosando: «L’enorme numero di riunioni e report sta spingendo il sistema, e tutti noi, al punto di rottura.
Molti di questi report non sono letti da nessuno». Il leader della più importante (?) organizzazione internazionale che celebra la propria tumulazione: l’Onu è ormai uno scherzo della Storia, ma non fa ridere nessuno. Anzi, già un parzialissimo elenco dei fallimenti in serie è agghiacciante: l’ignavia di Srebrenica, la codardia pilatesca di fronte al genocidio (quello sì) in Ruanda, la frustrazione sempre più palese della missione Unifil che doveva smantellare i gruppi armati libanesi (tra cui Hezbollah, ci hanno dovuto pensare i cercapersone del Mossad), il balbettio impercettibile di fronte all’invasione putiniana dell’Ucraina, la totale inefficacia nel contenere la scalata all’atomica degli ayatollah, interrotta soltanto dai bombardamenti di Trump. E proprio dal presidente americano ieri è venuto l’epitaffio migliore: «Le due cose che ho ricevuto dalle Nazioni Unite sono state una scala mobile malfunzionante e un gobbo rotto». Amen.