Dopo due anni di assedio e migliaia di morti, i russi sono entrati a Pokrovsk, città simbolo della resistenza ucraina. Il fronte si sgretola dove più faceva male a Mosca, nel cuore del Donbass. Kiev ci aveva schierato l’élite dell’esercito, compreso il famigerato battaglione Azov, ma il prezzo è stato altissimo: altri fronti sono rimasti scoperti, e ora i russi dilagano fino a Zaporizhzhia. Altro che guerra lampo.
Nella città dell'Ucraina orientale non è rimasto molto. Il sud della città è sotto controllo russo, la stazione è caduta, i binari sono diventati tombe. Gli incursori controllano quasi interamente la parte meridionale fino alla stazione. L'ultimo treno è partito il 5 settembre 2024: ora è caduta anche la stazione. I video dei droni mostrano civili uccisi, corpi abbandonati tra le macerie. Kiev grida alla “nuova Bucha”, ma la verifica delle responsabilità è ancora in corso.
Intanto la carneficina prosegue: “Molti civili non hanno mai voluto andarsene”, raccontano da lì, e ora sono prigionieri dei bombardamenti e dei droni kamikaze. Anche Myrnograd, la gemella mineraria di Pokrovsk, sta crollando. I russi sono entrati anche lì, chiudendo la morsa. Le vie logistiche sono scomparse, restano solo sentieri notturni nei campi.
Anche la ritirata, se mai verrà ordinata, è una missione suicida. E, mentre i soldati muoiono metro dopo metro, sulla testa di Zelensky cala la pressione diplomatica: da una parte c’è Putin che pretende Donbass e smilitarizzazione, dall’altra c’è Trump che chiede di “cedere qualcosa” in cambio di garanzie che non arrivano. Putin offre la tregua, ma solo se gli verranno consegnate le città simbolo ancora sotto controllo ucraino: Sloviansk, Kramatorsk e i bastioni che resistono tra Chasiv Yar e Lyman. Sette roccaforti ucraine sono circondate o sotto attacco. Il fronte regge, ma a che prezzo? “I fanti sono sempre meno”, si sussurra nei comandi. Il rischio? Trasformare la resistenza in definitiva resa.