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Nei campi di sterminio nazisti che hanno ispirato il 7 ottobre

Ad Auschwitz il pensiero corre all’antisemitismo contemporaneo: "Stiamo capendo che cosa accade oppure ci limitiamo a subirlo?"
di Dalia Gubbaysabato 8 novembre 2025
Nei campi di sterminio nazisti che hanno ispirato il 7 ottobre

6' di lettura

Terzo viaggio di Dalia Gubbay, assessore alle scuole della comunità ebraica di Milano, con la sua famiglia nell’orrore della Shoah. Dove Liliana Segre ha assistito all’impiccagione di quattro donne. Dove, sulla Judenrampe, i neonati venivano sbattuti contro i vagoni del treno o soffocati davanti ai genitori. E qui Sami Modiano è tornato, piegato dai ricordi, per descrivere l’inferno nel quale ha visto sua sorella e suo padre per l’ultima volta. Ora quella tragedia rischia di ripetersi, con la volontà di distruggere Israele.

Sabato 1° novembre Riparto. A leggermi sembrerebbe che io sia sempre in viaggio. Non è così o almeno non lo era. Curiosa da sempre, è diventato impellente il bisogno di capire luoghi e persone, in particolare, ça va sans dire, quando riguarda la nostra storia. E dunque parto per la Polonia. Cracovia, Auschwitz, Birkenau. Quando ho prenotato non sapevo che sarebbe stato a pochi giorni dal mio viaggio in Israele, nato quasi per caso, che poi caso non è mai. Anche qui, è un ritornare. La mia terza volta. La prima nel 2006. Forte, aberrante, raggelante esperienza; la sera la guida ci portava a bere vodka per poter sopportare. Ci misi giorni a riprendermi. A casa scoppiavo a piangere per un nonnulla con i bambini. La seconda nel 2015. Accompagnati da Sami Modiano, o forse eravamo noi ad accompagnare lui. Il ricordo mi strazia ancora oggi. Come spiegare cosa volle dire ascoltarlo mentre descriveva l’inferno negli esatti punti in cui accadde, vederlo incedere curvo eppure fiero, piegato dai ricordi eppure più vivo che mai? «Io non sono come voi. Qui ho visto mia sorella per l’ultima volta. Qui ho perso mio padre. Questa era la rampa della morte».

Dì Sami si potrebbero scrivere pagine e non basterebbero mai. Il suo abbraccio è una delle esperienze più totalizzanti, assolute e consolatorie che si possano immaginare. Aver potuto camminare al suo fianco per quel campo disseminato di baracche è stato un privilegio, un onore. Oggi siamo nel 2025. Perciò ogni 10 anni la vita mi riporta là. Questa volta accompagno mio marito e mio fratello, avevano bisogno di una spinta: e chi meglio di me. E poi non ci pensavo, che saremmo stati nel post 7 ottobre. E ora che ad un tratto lo realizzo e lo visualizzo, attendo. Attendo senza prevedere nulla ma so che sarà altro ancora. Attendo e so che per elaborare il tutto avrò bisogno di strumenti nuovi. Attendo con un misto di ansia rabbia e paura. Attendo e so che mi porterò dietro un peso inedito, che mai avrei immaginato di dover tollerare.

Ma attendo forte e decisa. Domenica 2 novembre Cracovia. Il tempo è insolitamente mite, il gruppo insolitamente numeroso, scopro che tanti amici partecipano al viaggio. Ma sarei venuta anche da sola. Sono qui per rivedere, per andare oltre. Marcello Pezzetti, massimo studioso della Shoa in Italia, non è cambiato. Si può chiamare passione ciò a cui ha dedicato la sua intera esistenza, raccontare l’orrore? Parla con enfasi, quasi troppo in fretta, deve dirci tutto, dobbiamo capire ogni cosa. Il suo racconto parte da prima dell’avvento del nazismo in Polonia, si snoda attraverso un percorso maledetto di emarginazione, boicottaggi, segregazione, espulsione, liquidazione degli ebrei di Cracovia. Ascoltiamo e sentiamo qualcosa di disturbante, una sorta di déjà vu. Ripercorriamo la stessa strada che fecero in 15.000, diretti al Ghetto. Un avanzare con sgomento mentre Marcello ci mostra le foto in bianco e nero di allora. Famiglie sfollate. Stipati in poche strade in condizioni disumane, gli ebrei si adattano, lavorano. E continuano a fare figli, è l’unico attaccamento alla vita che rimane loro. Un giorno però tornano e i bambini sono stati tutti fucilati, nei boschi circostanti. Gli alberi stasera hanno meravigliosi colori autunnali, la mente si rifiuta di immaginare un tale scempio in una natura così bella. Nessuno li ricorda, non ci sono targhe né memoriali. Arriviamo nella famosa piazza delle sedie vuote, Piazza degli Eroi del Ghetto. Una potente installazione che ricorda le vittime delle deportazioni. Intanto si è fatta notte e sale un po’ di angoscia in queste strade a tratti spettrali dove la storia sembra rivivere e vibrare in nostra presenza. Aspettando domani, torno alla domanda che aleggia e incombe dal primo momento di questa giornata. Quel disagio. Quell’imbarazzo. Che esprimiamo a bassa voce. Perché? Perché non sono andati via? Perché non hanno capito cosa stava accadendo? Perché lo hanno permesso? E dunque noi, ora, lo stiamo capendo? O stiamo ancora una volta accettando, subendo? Il pensiero ci fa tremare ma allo stesso tempo svetta, forte fiera e più bella che mai la terra d’Israele, pronta ad accoglierci. A domani. Lunedì 3 novembre Auschwitz-campo di concentramento. Piove a dirotto, pioverà tutto il giorno. Fa molto freddo, nessuno però osa lamentarsi. Sami diceva sempre che lui indossava solo un pigiama a righe e zoccoli di legno. Mi bastano pochi minuti per capire. Non sono più la stessa di dieci anni fa. Il 7 ottobre mi pulsa nelle vene.

Piango silenziosamente e copiosamente per tutta la visita al campo di Auschwitz. Le foto dei bambini e le loro scarpine mi sono insopportabili, Le foto dei prigionieri mi ricordano quelle degli ostaggi, le camere delle torture i tunnel di Hamas. Gli oggetti anneriti mi riportano alle macchine bruciate a Tekuma. C’è tanta gente, anche se le visite sono diminuite. Scolaresche, ragazzi israeliani. La guida polacca parla perfettamente italiano, racconta delle quattro ultime donne impiccate qui in seguito alla rivolta dei Sonderkommando. Ad assistere: Liliana Segre. Era il 7 ottobre del 1944. Entriamo nella camera a gas, ci sono le bocchette da cui usciva lo Zyklon B. Penso ai ragazzi del Nova, stipati nei rifugi e nei bagni, soffocati dalle granate, bruciati dagli RPJ. Poco lontano c’è la linda villetta con piscina e giardino dove vivevano Rudolf Hoss e la sua famigliola, quella del film La zona d’interesse. Poco lontano si erge la forca sulla quale fu finalmente impiccato, per crimini contro l’umanità, nel 1947. Sulla Judenrampe ci raccontano della selezione, siamo precisamente dove si svolgeva. I neonati venivano sbattuti contro i vagoni o soffocati davanti ai loro genitori. Anche qui misi parano davanti immagini recenti, troppo recenti. I Kibbuzim come campi di sterminio.

Storie di morte, coraggio, eroismo. Storie di chi è sopravvissuto e di chi si è tolto la vita. Tutto torna, ancora ancora e ancora. Questo è il Genocidio. Organizzato pianificato pensato realizzato strutturato coordinato approvato ammesso. Solo al pensiero che ci accusino di una cosa del genere mi fa impazzire. La rabbia affiora, potente. Hamas ci ha provato ma, bontà loro, sono dei selvaggi. Torniamo bagnati come pulcini. Freddo nelle ossa e nel cuore ma siamo insieme e si regge. Il concetto di MAI PIÙ che fluttua oramai indistinto, fuori dal tempo e dalla storia. Martedì 4 novembre Birkenau. Oggi non piove. In autobus festeggiamo ben tre compleanni cantando tipiche canzoni ebraiche. Andiamo nei luoghi della morte celebrando la vita. Al campo invece splende il sole. Ecco di nuovo i ragazzi israeliani, belli come non saprei spiegare. Sentire la lingua ebraica risuonare qui è come una magia. Il campo è di una vastità inimmaginabile, le foglie gialle e il cielo blu qui stridono più che mai, enormi distese verdi disseminate di baracche. È il più grande cimitero ebraico del mondo. Non riporterò i racconti dell’orrore assoluto, qui crolla anche Pezzetti. Ci avviamo all’uscita, c’è Boris Johnson in visita. Figlio di un sopravvissuto, non ha dubbi. «It can happen again». Adesso i ragazzi israeliani si sono tutti avvolti nelle bandiere. Siamo commossi come non mai. Un’immagine potentissima, la degna conclusione di questo viaggio e che mi riporta a casa con le risposte che cercavo. La nostra luce, sopravvissuta a Auschwitz e al 7 ottobre, continuerà a brillare. Per sempre.