Si prospettano elezioni politiche a Kiev e si mette in moto la macchina dei rilevamenti demoscopici. Ieri, nella giornata in cui il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha incontrato a Berlino l’inviato speciale americano per l’Ucraina, Steve Witkoff, ribadendo che «Kiev e Washington restano su posizioni differenti sulla questione delle concessioni territoriali che Kiev potrebbe accettare per porre fine al conflitto», Ukrainska Pravda ha diffuso un sondaggio, che alcuni osservatori hanno definito «a orologeria», secondo il quale tre quarti degli ucraini si dicono contrari aun piano di pace che preveda il ritiro delle truppe dal Donbass, limiti le dimensioni e le capacità delle forze armate e sia privo di garanzie di sicurezza specifiche.
La consultazione, riporta il quotidiano, è stata realizzata dall’Istituto internazionale di sociologia di Kiev dal 26 novembre al 13 dicembre, con risultati pressoché invariati rispetto a un’identica indagine condotta a settembre. Per tre quarti degli intervistati, il piano di pace in discussione al momento è «assolutamente inaccettabile». Solamente il 17% lo reputa accettabile. Mentre un piano di matrice europea godrebbe di maggior sostegno: il 72% degli ucraini sarebbe pronto ad accettarlo, mentre soltanto il 14% visi opporrebbe. Agli intervistati sono state sottoposte due versioni abbreviate di possibili piani di pace: una di matrice russo-americana e l’altra di matrice europea, poste casualmente all’attenzione degli interpellati senza che venisse detto loro di quale delle due si trattasse. La proposta europea prevedeva garanzie militari e finanziarie dall’Europa e dagli Stati Uniti, il congelamento della linea attuale del fronte e il mantenimento delle sanzioni alla Russia almeno fino alla firma di una pace sostenibile nel tempo. Quella russa, l’eliminazione delle sanzioni a carico di Mosca, la rinuncia di Kiev all'ingresso nella Nato, il riconoscimento del russo quale lingua ufficiale in Ucraina e la cessione degli oblast di Lugansk e Donetsk (che sommariamente costituiscono il Donbass), alla Russia.
Nei giorni scorsi, Zelensky aveva affacciato l’ipotesi che il destino del Donbass fosse da determinarsi attraverso un referendum tra i suoi cittadini. Il leader ucraino aveva parlato a ragion veduta, consapevole dei risultati dell’ultimo censimento ufficiale svolto nel Paese, dal quale risultava che nell’oblast di Donetsk il 57% della popolazione fosse di etnia ucraina, con un 38,2% di etnia russa e che uno stesso margine si era registrato nell’oblast di Lugansk, con il 58% di ucraini a fronte di un 39% di russi (pur con risultati esattamente opposti in entrambi gli oblast quanto a lingua parlata). La proposta era stata seccamente respinta dal Cremlino, notoriamente allergico alla democrazia, che aveva precisato che in nessun caso avrebbe concesso una tregua in vista di una simile consultazione e che di un cessate il fuoco si sarebbe potuto parlare solo a ritiro completato delle truppe ucraine dal Donbass. Del destino della regione più sud-orientale dell’Ucraina, autentico scoglio delle trattative di pace in corso in questi giorni, ha parlato ieri l’Alto rappresentante Ue perla politica estera, Kaja Kallas, ribadendo il veto europeo sulla sua cessione a Mosca perché, ha spiegato, «si tratterebbe soltanto del primo passo verso altre rivendicazioni russe su territori appartenenti all’Ucraina».