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L'intesa sui dazi adesso c'è. Più che frignare bisognerebbe rimboccarsi le maniche

C’è chi parla di catastrofe, chi di pericolo scampato. Ma almeno ora il quadro è chiaro e si può programmare
di Sandro Iacometti venerdì 22 agosto 2025

3' di lettura

L’industria farmaceutica festeggia, i produttori di vino si strappano i capelli. L’aliquota dei dazi Usa per le merci esportate dall’Europa è unica, quel 15% iniziale che nell’accordo definitivo diffuso ieri è stato esteso a quasi tutti i prodotti, ma ognuno la prende a modo suo. C’è chi parla di catastrofe, chi di pericolo scampato. Il tutto in un tripudio di cifre e stime pronte all’uso che viaggiano con troppa fretta per poter essere prese sul serio.
La realtà, al di là delle legittime preoccupazioni di alcuni settori e delle assurde polemiche delle opposizioni italiane che incolpano la Meloni, è che la guerra commerciale che aleggiava e impauriva fino a qualche settimana è scongiurata. Anche l’incertezza è, più o meno, finita. L'Unione europea e gli Stati Uniti hanno firmato una dichiarazione congiunta che mette nero su bianco l'accordo politico raggiunto il 27 luglio in Scozia al Golf Club di Turnberry dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e dal presidente americano Donald Trump. L’intesa porta «prevedibilità perle nostre aziende, stabilità per milioni di posti di lavoro» e «rafforza le relazioni transatlantiche», ha rivendicato von der Leyen, che forse non ha condotto la migliore delle trattative possibili ma ha comunque portato a casa un risultato.

Niente salti di gioia per Palazzo Chigi che però, realisticamente, sottolinea l’importanza di «un quadro chiaro per il mondo imprenditoriale». Non è un punto di arrivo ideale, spiega una nota del governo, ma fissa «alcuni punti fermi importanti». Ora l’obiettivo è «estendere nei prossimi mesi i settori esenti, a partire dall'agroalimentare», trovando un accordo anche su acciaio e alluminio. Il cuore dell'intesa resta la definizione di un tetto massimo del 15% per la gran parte delle esportazioni europee verso gli States, che sostituisce il regime precedente fatto di dazi cumulativi e spesso più pesanti. Dopo le incertezze iniziali ora rientra in pieno nell'accordo al 15% anche l'importante comparto dell'auto europeo, gravato in precedenza da tariffe fino al 27,5%. Il taglio scatterà però solo dal mese in cui Bruxelles abbatterà i dazi su tutti i prodotti industriali americani, auto incluse. Graziati con il 15% anche comparti come i farmaci, legname e trucioli, su cui Washington minacciava valori ben più alti. Bruxelles di contro concede agli Usa un accesso preferenziale al mercato europeo per molti prodotti ittici e agricoli, tra cui carne di maiale, latticini e frutta a guscio. Sono previste poi esenzioni mirate come per sughero, aeromobili e le loro parti, farmaci generici e precursori chimici.

Bruxelles e Washington hanno però concordato di lavorare per allargare ulteriormente tale lista. Non ci saranno invece esenzioni per i dazi su acciaio e alluminio che gli Usa vogliono al 25%. Resta poi fuori dall'accordo uno dei capitoli più delicati per l'Italia (e Francia), come quello relativo a vino, birra e liquori. Fuori anche il digitale, terreno delicatissimo per gli Usa. Accanto al fronte dazi, la dichiarazione conferma l'impegno europeo su investimenti di portata storica negli Stati Uniti: 750 miliardi di dollari in energia entro il 2028, 40 miliardi in chip per l'intelligenza artificiale per i data center europei e fino a 600 miliardi di dollari da parte delle imprese Ue in settori strategici Usa. Bruxelles si impegna poi ad aumentare l'approvvigionamento di equipaggiamenti militari statunitensi, per rafforzare l'interoperabilità Nato e la cooperazione industriale transatlantica.

Miglior accordo possibile o resa disonorevole? Chiunque si sbilanci, mente. È troppo presto per valutare qualsiasi impatto e la capacità delle imprese e del mercato di adattarsi al nuovo scenario. Una cosa è certa: l’Europa, a prescindere dai dazi, dovrà darsi una robusta svegliata.

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