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Auto, una sterzata davanti all'abisso ma adesso bisogna fare di più

Bruxelles prende finalmente atto della realtà e mette in discussione uno dei dogmi intoccabili del Green deal. Il prossimo passo è l’abbandono definitivo dell’ambientalismo ideologico
di Sandro Iacometti mercoledì 17 dicembre 2025

3' di lettura

C’è chi, come il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, vede il bicchiere mezzo vuoto: «Troppo poco. Con le mezze curve facciamo gli incidenti. Quando si va in strada o si fa la curva o si va dritti». Non ha tutti i torti. E sono in molti, anche nella politica, a partire dalla Lega, a dire che la svolta è timida e in ritardo. Tutto vero. Epperò c’è anche il bicchiere mezzo pieno. La Ue non ha avuto il coraggio di andare fino in fondo, non c’è dubbio. Il taglio di emissioni richiesto al settore dell’auto per il 2035 passa dal 100% al 90%, ma la neutralità climatica viene mantenuta con un meccanismo di acquisto di crediti per il rimanente 10%. Una mezza curva, come dice Orsini. Tuttavia non bisogna dimenticarsi che fino a qualche mese fa per Bruxelles l’unico percorso possibile era quello che prevedeva una linea retta verso l’abisso. L’eliminazione totale dei motori endotermici.

Ebbene, la sterzata non è di quelle epocali, ci mancherebbe. Ma la novità lo è abbastanza. Il 2035 non è più la data di morte di diesel e benzina, come profetizzato da anni dai sacerdoti dell’oscurantismo ambientalista che ha messo al bando, tacciandolo di blasfema e sacrilega eresia, chiunque si permettesse di far notare che i consumatori se ne fregavano delle auto elettriche e che convertire tutto il parco macchine europeo ai precetti green avrebbe desertificato il settore senza cambiare di una virgola il livello mondiale di emissioni di Co2. Certo, direte voi, per apportare una leggera correzione di rotta ci sono voluti la crisi devastante dell’automotive, la chiusura di fabbriche, le perdite ingenti delle principali case automobilistiche del Continente, le valanghe di ora di cassa integrazione, le delocalizzazioni selvagge stile Stellantis in Nord Africa ed Est Europa, gli operai in mezzo alla strada e, non ultima, la frenata a cascata dell’intera manifattura europea. Compresa quella italiana che le opposizioni, tutte pro auto elettrica, continuano ad addebitare a Giorgia Meloni.

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Ma mollare un paradigma, una visione del mondo, una rotta tracciata è stato difficile anche per i fanatici del sistema tolemaico, quando Copernico, Keplero e Galilei gli sbatterono in faccia che i tramonti erano un’illusione ottica e che il sole se ne stava bello tranquillo al centro del nostro sistema stellare. Per carità, bastava leggersi tre anni fa l’ottimo “Come funziona davvero il mondo”, dell’ambientalista Vaclav Smil per capire che abbandonare di botto i combustibili fossili era un’idea che poteva venire solo a una ragazzina svedese e ai suoi invasati proseliti. Ma alla fine, il tempo è galantuomo e la realtà testarda. Prima o poi bisogna farci i conti. Il passo compiuto ieri da Bruxelles è solo il primo, flebile segnale di risveglio. Ma non per questo è meno dirompente. La marcia indietro sullo stop ai motori a combustibile fossile è l’affossamento della misura simbolo del green deal, è la caduta di un mito, la fine di un dogma che sembrava alla base dei valori fondanti dell’Unione europea.

Quella arrivata da Strasburgo è una «breccia nel muro dell'ideologia», ha detto il ministro delle imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, che ha rivendicato il ruolo di Roma nel portare avanti la battaglia sul principio di neutralità tecnologica, oggi riconosciuto nelle norme riviste. E questo è un altro punto che non va trascurato. Insultato, vituperato, criticato, il governo di centrodestra si è fin da subito scagliato contro l’oltranzismo ecologico, la furia ambientalista, sostenendo che sarebbe stato meglio dare uno sguardo alla realtà prima di prendere decisioni così radicali. Ora che l’Europa, quell’Europa che fino a ieri la sinistra difendeva senza se e senza ma, contro il negazionismo climatico dei post-fascisti, ha preso la via del pragmatismo e del realismo, ci si dovrebbero aspettare le solite scuse che non arriveranno mai. Poco importa. Sarebbe già tanto che la sinistra europea e italiana riconoscesse l’importanza di un cambiamento doloroso ma inevitabile, viste le condizioni in cui la nuova Europa è costretta a muoversi. Ma anche questo, purtroppo, non accadrà.

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