Milano, 30 ott. (Labitalia) - Gli smart worker - quei lavoratori dipendenti che godono di flessibilità e autonomia nella scelta dell’orario e del luogo di lavoro, disponendo di strumenti digitali per lavorare in mobilità - sono ormai circa 570mila, in crescita del 20% rispetto al 2018, e mediamente presentano un grado di soddisfazione e coinvolgimento nel proprio lavoro molto più elevato di coloro che lavorano in modalità tradizionale: il 76% si dice soddisfatto della sua professione, contro il 55% degli altri dipendenti; uno su tre si sente pienamente coinvolto nella realtà in cui opera e ne condivide valori, obiettivi e priorità, contro il 21% dei colleghi. Sono alcuni dei risultati della ricerca dell'Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, presentata oggi al Campus Bovisa, a Milano, al convegno 'Smart Working davvero: la flessibilità non basta'. Nel 2019 la percentuale di grandi imprese che ha avviato al suo interno progetti di smart working è del 58%, in lieve crescita rispetto al 56% del 2018. A queste percentuali vanno aggiunte un 7% di imprese che ha già attivato iniziative informali e un 5% che prevede di farlo nei prossimi dodici mesi. Del restante 30%, il 22% dichiara probabile l’introduzione futura e soltanto l’8% non sa se lo introdurrà o non manifesta alcun interesse. A fronte di questa crescita modesta, c’è da registrare un aumento di maturità delle iniziative, che abbandonano lo stato di sperimentazione e vengono estese a un maggior numero di lavoratori: circa metà dei progetti analizzati è già a regime e la popolazione aziendale media coinvolta passa dal 32% al 48%. Tra le pmi c’è un aumento della diffusione dello smart working: i progetti strutturati passano dall’8% dello scorso anno al 12% attuale, quelli informali dal 16% al 18%, ma aumenta in modo preoccupante anche la percentuale di imprese disinteressate al tema (dal 38% al 51%). È tra le pubbliche amministrazioni che si registra la crescita più significativa: in un anno nel settore pubblico raddoppiano i progetti strutturati di smart working (passando dall’8% al 16%), il 7% delle Pa ha attivato iniziative informali (l’1% del 2018), il 6% le avvierà nei prossimi dodici mesi. Le più avanzate sono le Pa di grandi dimensioni, che nel 42% dei casi hanno già introdotto iniziative strutturate e nel 7% hanno attivato iniziative informali. Nonostante questi dati incoraggianti, il ritardo resta evidente, con quasi 4 Pa su 10 che non hanno progetti di smart working e sono incerte (31%) o addirittura disinteressate (7%) rispetto alla sua introduzione. Va inoltre sottolineato come i progetti di smart working nelle P risultino ancora limitati in termine di diffusione interna poiché coinvolgono mediamente il 12% della popolazione dell’amministrazione, percentuale radicalmente diversa a quella delle imprese private e vicina al 10% che la direttiva Madia definiva come limite inferiore all’adozione. Questo dato sembra testimoniare come, pur essendosi finalmente attivate, molte Pa abbiano seguito un approccio di mero adempimento normativo. Secondo le organizzazioni, i principali benefici riscontrati dall’adozione dello smart working sono il miglioramento dell’equilibrio fra vita professionale e privata (46%) e la crescita della motivazione e del coinvolgimento dei dipendenti (35%). Ma la gestione degli smart worker presenta secondo i manager anche alcune criticità, in particolare le difficoltà nel gestire le urgenze (per il 34% dei responsabili), nell’utilizzare le tecnologie (32%) e nel pianificare le attività (26%), anche se il 46% dei manager dichiara di non aver riscontrato alcuna criticità. Se si interrogano gli smart worker, invece, la prima difficoltà a emergere è la percezione di isolamento (35%), poi le distrazioni esterne (21%), i problemi di comunicazione e collaborazione virtuale (11%) e la barriera tecnologica (11%).