Quanto fa male scoprire che è tutta colpa nostra

di Ignazio Stagnodomenica 22 giugno 2014
Quanto fa male scoprire che è tutta colpa nostra

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L’altra sera vagavo su Internet. Volevo risposte. Capire a chi poter attribuire l’origine di tutti i miei mali. Chi poter colpevolizzare per tutto quello che mi tocca sopportare in questo mese e più di Mondiali. Partite a notte fonda, urla, clacson, tessuti sintetici, depressioni e varie. Ero convinta fosse un uomo, poi mi sono imbattuta in un’intervista di VanityFair.it. Eccolo lì il volto delle mie sciagure. L’aria sorridente, quasi amichevole, non avrà più di 30-35 anni. Ma, soprattutto, è una donna. Una donna fatta e finita. Le mie speranze sono crollate mestamente: quale sorta di congrega femminile (e un po’ femminista) potrò mai creare se causa dell’agonia Mondiale è una donna? Una di quelle creature che non dovrebbero lanciarsi in tifi e cori «poco adatti ad una signorina», ma stringersi a corte per combattere il nemico comune: il pallone. Che per carità non pretendo mica cessi di esistere. Fa comodo settimanalmente avere una domenica «a targhe alterne», libera dagli uomini e dai loro simili. Però un mese filato è troppo. È troppo avere pomeriggi e sere programmate a seconda di quando gioca l’Algeria o tutta quella serie di paesi di cui fino a ieri ignoravo l’esistenza geografica, figuriamoci quella calcistica. Ma è troppo anche sapere che se la Coppa del Mondo esiste è perché tal Valentina Losa (nella foto) ha deciso di rilevare l’azienda del nonno. Quella «G.d.e Bertoni» che nel 1972 vinse il concorso indetto dalla Fifa e diede alla luce l’oggetto che, ogni quattro anni, viene alzato al cielo che manco fosse Gesù bambino. Sua la Coppa, sua la colpa. E grazie tante allora. Oltre alle partite adesso dovrò sorbirmi anche i «Chi è causa del suo male pianga se stesso» della controparte maschile. di Claudia Casiraghi