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Ecuador, il villaggio dei bambini abbandonati dove i suicidi sono all'ordine del giorno

di Nicoletta Orlandi Posti domenica 14 dicembre 2014

2' di lettura

Sono bambini, ma vivono da soli, abbandonati dai genitori all'ombra del vulcano Chimborazo. Aspettano i soldi che le madri e i padri costretti ad emigrare mandano loro, ma troppo spesso la solitudine ha il sopravvento e decidono di farla finita prima di aver compiuto diciott'anni. E' questo l'agghiacciante reportage di Filippo Fiorini che ha visitato un villaggio a Chunchi, sulle Ande dell'Ecuador, dove la solitudine e la morte sono il pane quotidiano di ragazzini di fatto orfani. Un reportage che inizia con la constatazione che in città è difficile trovare del veleno per topi. Ne hanno ristretto la vendita da quando si è scoperto che era diventato il prodotto più usato dai bambini per togliersi la vita. Eppure i suicidi continuano: dal 2012 ad oggi, hanno deciso di farla finita 60 bambini. Un numero altissimo, che moltiplica per sei la media nazionale. Questo ritmo, che stabilisce uno dei primati (tristi) mondiali, è calato solo a partire dal 2014, quando le autorità hanno attivato un sistema di contenimento. Il male di vivere - Fiorini racconta su La Stampa che a Chunchi i posti più frequentati dai giovani sono la piazza e i bar. Poi, viene la sala computer con la banda larga e Skype. Cristian Calle, che la gestisce come parte del Centro d' Assistenza al Migrante, spiega che i circa 300 ragazzi che segue, vengono per videochiamare i genitori e sentirsi dire: "Ti voglio bene", "fai il bravo" e "l' anno prossimo potrai venire qui anche tu". Tuttavia, quel 10% dei 13 mila abitanti di Chunchi che è partito per l'America, l'Europa o altri paesi emergenti, lavora oggi senza permesso di soggiorno, non pianifica alcun rientro in patria, e nemmeno può permettersi di far viaggiare i figli. E così il 51% dei suoi bambini cresce senza madre e padre, se va bene nei campi coi nonni, altrimenti, da soli. E da soli cercano di farcela, lavorando e convivendo con la morte. Come quella di Maria, nove anni, che l'ha fatta finita con la polvere da sparo. Come quella di José, che si è fermato a sei, bevendo con l' acqua ragia. La storia di Lourdes Vizñay è una delle più note perché quando l'hanno trovata con una corda al collo e il suo compagno di classe Fernando Flores l'ha raccontata in un libro. "Tempi Disperati" narra che il giorno del suo 17° compleanno, Lourdes ha tentato di farsi un regalo, perché si era resa conto che nemmeno quella volta sua madre sarebbe tornata per farle gli auguri di persona, come invece aveva promesso. Così, quando il bottegaio l' ha beccata a rubare il vestito dalla vetrina e l' ha chiamata "scarto", come si dice in paese ai figli lasciati lì dagli emigrati, si è vergognata tanto che è andata a casa e si è uccisa.

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