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Boschi-Renzi e Serra, le tre coincidenze di Etruria

di Franco Bechis domenica 20 dicembre 2015

6' di lettura

E’ un romanzo sulle straordinarie coincidenze quello degli ultimi anni della Banca popolare dell’Etruria e del Lazio, dove quasi tutto si intreccia con la storia di palazzo Chigi e del governo di Matteo Renzi. E’ la banca della famiglia di Maria Elena Boschi. Fino al commissariamento che Bankitalia ha firmato l’11 febbraio scorso, ne era vicepresidente il papà, Pier Luigi Boschi. Era entrato prima come consigliere di amministrazione, poi aveva fatto parte del comitato esecutivo della banca insieme a un presidente- Lorenzo Rosi– con cui aveva anche rapporto di amicizia. Un ruolo non secondario (tutte le decisioni importanti passano dal comitato esecutivo), e non proprio svolto al meglio. Tanto è che il Governatore della Banca d’Italia il 23 settembre 2014 gli aveva comminato (in compagnia di altri 17 amministratori e dirigenti dell’Etruria) ben 4 multe da 36 mila euro, per un totale di 144 mila euro, quasi quanto lo stipendio che Boschi aveva come vicepresidente. Quattro irregolarità contestate: violazioni delle regole sulla governance, violazione delle norme sui controlli interni, carenze nella gestione e nel controllo del credito e omesse e inesatte segnalazioni all’organismo di vigilanza (la Banca d’Italia stessa). In banca c’era pure uno dei due fratelli del ministro, nonché figli del vicepresidente e membro del comitato esecutivo di Etruria: Emanuele Boschi. Dall’aprile scorso Emanuele fa il commercialista esperto in spending review nello studio BL di Firenze (ne avrebbero un gran bisogno la sorella e il premier). Ma fino a quel momento la sua giovane carriera si è svolta tutta dentro Banca Etruria: per 5 anni fino al novembre 2012 “process analyst”, poi altri due anni come “cost manager” e gli ultimi sette mesi come “program e cost manager”. In banca aveva conosciuto Eleonora, la donna che a fine giugno 2014 ha portato all’altare ad Arezzo. Nella stessa banca aveva acceso anche il mutuo per comprare qualche mese prima di sposarsi la casa a Laterina, paese di famiglia. Un’abitazione popolare di 8,5 vani venduta dalla zia paterna Anna Boschi, con un mutuo ipotecario trentennale della Banca Etruria di 150 mila euro con un tasso di interesse annuo dell’1,5%. Al matrimonio di Emanuele con Eleonora fra gli invitati delle prime fila c’era anche Lorenzo Rosi, presidente di Banca Etruria che poi sarebbe stato come papà Boschi commissariato da Bankitalia. E Rosi è il trait d’union fra quella banca e un altro familiare, questa volta del premier Matteo Renzi. Una volta lasciata l’Etruria un po’ ammaccato dalle contestazioni di Banca d’Italia, Rosi che per altro era stato ripreso anche per i fidi concessi alla cooperativa di costruzioni La Castelnuovese, di cui era stato a lungo presidente e pure dipendente, una volta uscito dalla banca mica ha incrociato le braccia. Anzi. Entra ed esce da una girandola di società. Amministratore di Toscana Progetti, The Mill srl, Sviluppo Milano srl, Tuscany company store, Syntagma srl, Corso Italia Firenze srl, Riviera Mall srl, Costa Azzurra Re srl. Ma la vera gemma che gli sta a cuore si chiama Egnazia Shopping mall srl. E’ una società nata proprio all’indomani della sua uscita da Banca Etruria, e Rosi ne diventa amministratore unico il 4 luglio scorso. Ha come scopo quello di riproporre in altre zone d’Italia il grande successo che ha avuto alle porte di Firenze The Mall, un centro commerciale-outlet che ha più visitatori degli Uffizi. Nell’azionariato ci sono due società di diritto panamense, c’è Andrea Bacci, un costruttore fiorentino che prima ristrutturò la villa di Pontassieve di Matteo Renzi, e poi fu dall’allora sindaco di Firenze nominato alla guida di una partecipata del Comune, la Florence Multimedia. L’azionista più rilevante della Egnazia è però un altro: la Nikila Invest di Ilaria e Armando Niccolai. Sono loro a unire papà (e mamma) Renzi con la storia del gran capo dell’Etruria, Rosi. La Nikila infatti il 12 novembre 2014 fonda (40% a testa, e il 20% a un terzo azionista, la Creazione Focardi srl) con papà Renzi la Party srl, società che dovrebbe fare proprio le consulenze immobiliari su progetti come quello che poco dopo avrebbe avviato la Egnazia di Rosi (e della stessa Nikila). Amministratore unico della società quello stesso giorno viene nominata Laura Bovoli, moglie di Tiziano e mamma di Renzi. Stranamente i genitori del premier si dimenticano entrambi di segnalare quella nuova società- la Party srl- nella dichiarazione patrimoniale che depositano il 6 agosto 2015 a palazzo Chigi secondo gli obblighi di legge. Ha nuove partecipazioni Tiziano Renzi rispetto a quelle della dichiarazione precedente del 2013? “Sul mio onore no” risponde lui. “Ha nuove cariche societarie, lei, signora Bovoli in Renzi”. Stessa risposta: “Sul mio onore, no”. E invece entrambi non dicono la verità, perchè quella Party srl che cambia la situazione non viene citata. Dopo l’unione societaria con i Renzi i due Niccolai che sono di Pistoia rafforzano i legami con Firenze: comprano per 25 milioni di euro il vecchio teatro comunale della città, che Renzi figlio aveva messo in vendita già nel 2009 per 44,5 milioni di euro. Un giorno del marzo scorsop nel suo abito di consulente immobiliare con cui aveva appunto dato i natali alla Party, papà Renzi spunta all’improvviso a Fasano in Puglia. E’ in una delegazione della Egnazia di cui Rosi è segretario ed azionista e sta per diventare anche amministratore unico. Con gli amministratori locali va a discutere della possibilità di realizzare centri commerciali come The Mall. Stessa visita a Sanremo. Pizzica tutti il Fatto quotidiano che lo scrive il 19 settembre scorso provando ad avere spiegazioni da papà Renzi che però non ne dà. A dire il vero non ci sarebbe nulla di strano, visto che quello è il nuovo business che sta cercando di fare con la sua Party. Ma come dimostra la mancata dichiarazione patrimoniale a palazzo Chigi, papà Renzi vuole tenere riservatissima questa nuova attività. Che fa incrociare nel business lui, i Niccolai e l’ex gran capo di Banca Etruria. Renzi sr e Rosi hanno un socio in comune e lavorano sullo stesso progetto, ma non sono soci diretti come ha voluto specificare ieri il suo avvocato: “Non esistono veicoli commerciali o finanziari nei quali Tiziano Renzi sia socio di Lorenzo Rosi. Tutte le illazioni sono quindi da decisamente respingere”. Però è il secondo incrocio -una coincidenza- fra la storia finale dell’Etruria e quelle delle famiglie di chi tiene le redini di governo. Ce ne è una terza. Banca Etruria che sta in condizioni pre-fallimentari dopo le numerose ispezioni della Banca d’Italia fra il 16 e il 26 di novembre vede schizzare in borsa il suo titolo del 68%. Il giorno iniziale è quello in cui è stato comunicato che il governo avrebbe trasformato in spa le più grandi banche popolari. L’Etruria è la più malandata, eppure è quella su cui si fanno i più clamorosi affari in borsa. Qualcuno ha comprato prima di quel 16 novembre, ha sostenuto il titolo e poi venduto. Giuseppe Vegas, presidente della Consob, dice pubblicamente alla fine di quel rally che qualcuno si è messo in tasca almeno 10 milioni di euro in pochi giorni. Chi? Consob e magistratura indagheranno. Non se ne sa nulla. Ma uno salta fuori, confessando: “sì, ho naturalmente comprato titoli delle popolari. L’ho fatto con il mio fondo Algebris fin dalla primavera 2014”. E’ David Serra il vulcanico finanziere amico e finanziatore di Matteo Renzi. La Consob lo convoca, lui si è rotto una gamba sciando e chiede un rinvio. Nel marzo scorso lo interrogano. All’uscita rivela di avere fatto una sola grande operazione, vendendo Banco Popolare e perdendoci pure un po’ di soldi. Delle piccole operazioni non rivela particolari. E dell’indagine non si è saputo più nulla… Continua a leggere su L'imbeccata di Franco Bechis

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