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Giampaolo Pansa: "Denunciamo il vicino che non paga le tasse"

di Andrea Tempestini domenica 2 marzo 2014

5' di lettura

Nei due discorsi d’insediamento al Senato e alla Camera, il premier Matteo Renzi non ha dedicato una parola alla guerra contro l’evasione fiscale. Ha giudicato più importante questioni come l’enorme aumento della disoccupazione giovanile, il ruolo degli insegnanti e le condizioni degli edifici scolastici. Tutti problemi che è sacrosanto affrontare, ma richiedono investimenti molto forti. Come si possono trovare i soldi necessari? Non certo aumentando le tasse, bensì con una battaglia senza quartiere ai tanti che le tasse non le pagano. Per fortuna, il nuovo ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, negli stessi giorni ha ammonito che non bisogna addormentarsi nella lotta a chi froda il fisco. Confesso ai lettori di “Libero” che, prima di scrivere questo Bestiario, mi sono domandato se valeva la pena dedicarlo a chi non paga le tasse. Non è la prima volta che parlo del killer silenzioso che minaccia le casse dello Stato e la stabilità sociale. Ma ero sfiduciato perché non vedevo accadere nulla. Gli evasori continuavano ad evadere felici come Pasque. E i contribuenti fedeli venivano presi per fondelli. Immaginavo le risate: “Guarda quel fesso di Pansa che seguita a predicare l’onestà fiscale! Perché non scrive di calcio, di tivù e di donne? Non butterebbe via il suo tempo e risulterebbe meno noioso!”. Persino l’attivismo del capo dell’Agenzia delle entrate, il benemerito Attilio Befera, stentava a produrre i risultati sperati. Il governo Renzi Poi mi sono deciso a parlare per l’ennesima volta di chi froda il fisco per un motivo che riguarda il premier Renzi. I lettori di “Libero” sanno che ho sempre avuto molte riserve sul suo conto. A cominciare dal modo in cui ha mandato a casa il governo di Enrico Letta, in questo aiutato dalla grande maggioranza del Partito democratico. È stato un colpo alla nuca sparato all’improvviso, dopo aver garantito al premier in carica: “Enrico stai sereno!”. Ma se Renzi fosse anche un politico con la rivoltella in mano e pronto ad accoppare chi non gli piace, adesso l’obbligo degli italiani per bene è quello di sostenerlo. Il fallimento del suo governo sarebbe una catastrofe per la nazione. Tuttavia è indispensabile che Renzi metta nella prima pagina della sua agenda la guerra a chi sabota la rinascita italiana non pagando le tasse. Le dimensioni del problema sono mostruose. Un paio di anni fa, nel 2012, le imposte evase assommavano a 120 miliardi di euro. Se ci aggiungiamo i 135 miliardi dell’economia sommersa o in nero, più i 77 miliardi della criminalità organizzata, si arriva a una cifra allucinante: 332 miliardi di euro che sfuggono a qualsiasi controllo fiscale. È inutile ripubblicare l’ennesimo elenco delle categorie che evadono di più. In tanti, me compreso, l’hanno presentato molte volte. E non è servito a nulla. Che cosa si può fare per sgretolare questa montagna di illegalità? Le teorie sono molte. C’è chi sostiene che abbassare le tasse in modo rilevante spingerebbe gli evasori a pagarle. Il Bestiario non crede a questo rimedio. L’evasione sistematica è un perversione sociale e un vizio civile impossibili da cancellare. Chi è abituato all’infedeltà fiscale, continuerà a essere infedele anche in presenza di imposte ridotte. Un deterrente potrebbero essere le manette agli evasori. Ne ho sentito parlare un’infinità di volte, ma non le ho mai viste scattare. Eppure nei paesi civili i grandi evasori finiscono in galera. Accade nella Germania della vituperata cancelleria Merkel e negli Stati uniti del presidente Obama. In America ai giornalisti che visitano le carceri vengono mostrate le sezioni dove stanno rinchiusi i condannati per frode fiscale. E il direttore della prigione li presenta con un formula semplice e terribile: «Hanno mentito al popolo americano». Esiste però un’altra arma contro l’evasione. L’aveva adottata nell’aprile 2008 il ministro delle Finanze del secondo governo Prodi, Vincenzo Visco. Poco prima della caduta dell’esecutivo, Visco pubblicò sul sito dell’Agenzia delle entrate tutte le dichiarazioni presentate nel 2006 e relative ai redditi del 2005. I quotidiani le ripresero e cominciarono a rivelarle provincia per provincia. Successe il finimondo. Per la prima volta venivano a galla cifre e nomi dei dichiaratori farlocchi. Finalmente era possibile fare dei confronti e sapere chi aveva dichiarato redditi troppo inferiori al proprio tenore di vita. Il 30 aprile 2008 intervenne il Garante della privacy e l’agenzia fu costretta a cancellare gli elenchi dal proprio sito. Ma nel frattempo, molti navigatori su Internet erano entrati in possesso dei file e così i giornali continuarono a pubblicarli. Si andò avanti sino al 7 maggio, poi intervenne un nuovo veto del Garante e la storia finì. Però quei pochi giorni bastarono per far capire quali erano i contribuenti fedeli e quali no. Nelle piccole città e nei paesi, dove tutti si conoscono, ci fu parecchia gente che mangiò dosi di rabbia: gli onesti nello scoprire che il vicino di casa benestante dichiarava un reddito magrissimo, i disonesti per essere stati scoperti con le dita nella marmellata. Una decisione identica fu presa dall’ultimo governo Berlusconi, nel 2011. Il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, stabilì che i redditi di tutti i contribuenti venissero pubblicati dai comuni sui propri siti Internet. Da contribuente onesto accolsi con applausi anche questa scelta. Purtroppo la lodevole iniziativa di Tremonti si perse nel disastro generale del centrodestra. I governi successivi, quello di Mario Monti e di Letta, non si curarono di rinnovare la pubblicazione degli elenchi. Un’arma in più Adesso lo Stato italiano ha un’arma in più. Per decisione del governo Monti, tutte le banche sono obbligate a comunicare all’Agenzia delle entrate gli estratti conto dei loro clienti. È una misura sacrosanta, per chi non ha nulla da nascondere. E aiuta a distinguere tra i papponi nascosti che campano alla grande sulle tasse pagate dagli altri. E ci obbliga a riflettere su un giudizio del grande Giuseppe Prezzolini: «L’Italia va avanti perché ci sono i fessi. I fessi lavorano, pagano e crepano». Detto questo, seguito a pensare che la pubblicazione di tutte le denunce dei redditi sia il metodo migliore per rendere giustizia ai contribuenti per bene e a mettere nei guai quanti non lo sono. Nel mio estremismo anti-evasori arrivo a dire che conoscere il reddito dichiarato dal vicino di casa potrebbe spingere qualcuno a segnalare al fisco che c’è qualcosa che non funziona. Questo vicino possiede due automobili di lusso, si fa le vacanze in luoghi per vip, ma quando va in farmacia non paga il ticket sui medicinali, come se avesse un reddito da pensionato al minimo. Lo denunciamo questo signore? Certo che sì. Da bambini si diceva: “Chi fa la spia non è figlio di Maria”. Ma quando si tratta di tasse, le spiate sono un atto di giustizia. E lo stesso le denunce. Ecco una forma di legittima difesa del contribuente fedele che non vuole morire per colpa di chi inganna il fisco. Che cosa ne pensa il benemerito dottor Befera? Già che ci sono, voglio segnalargli che l’Agenzia delle entrate qualche volta fa il passo sbagliato. E prende di mira un contribuente onesto per un reddito mai incassato. Se il dottor Befera è interessato a conoscere uno di questi casi, mi telefoni e gli racconterò quel che può inventarsi uno dei suoi tanti uffici. di Giampaolo Pansa

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