«La mia paura era vivere una vita che non era quella che sognavo. Un giorno mi sono detto: “Fai una proiezione di qui a dieci anni della tua vita: ti piace?”. La risposta è stata no». Parole di un saggio, o magari il pensiero chissà quante volte passato nella testa di molti di noi, specialmente il lunedì mattina mentre suona la sveglia. Ed ecco che dopo aver attraversato a piedi l’Alaska, l’Oceano Atlantico e Pacifico a remi insolitaria, dopo aver corso 70 km per 70 giorni consecutivi da una costa all’altra degli Usa, Alex Bellini, il tizio della frase qui sopra, sta organizzando la prossima avventura: vivere 12 mesi su un iceberg alla deriva finché non si scioglie. Forse qualcuno adesso lo pensa un po’ meno saggio? Nato sotto le cime dell’Aprica, Alex oggi vive a Thame, paese a due passi da Oxford, in Inghilterra, con la moglie Francesca e le due figlie, Sofia e Margherita: studia e insegna, tiene seminari e conferenze. Con occhi di ghiaccio, barba lunga e l’avventura sempre in testa. Alex, con il progetto Adrift (alla deriva) ne sta inventando un’altra delle sue? «Se tutto andrà secondo i piani, vivrò su un iceberg da maggio 2015 per un massimo di 12 mesi percorrendo circa 1.200 km». Finché non si scioglierà? «Non sarà proprio così, probabilmente. Gli iceberg sono elementi dinamici, cambiano, si rompono, si capovolgono: si tratterà di sopravvivere più a lungo possibile. Sarà un tentativo di portare un contributo alla ricerca sui cambiamenti climatici, argomento di cui si sente parlare ma di cui in realtà non conosciamo le conseguenze. Al di là di ogni aspetto politico e ideologico. Il tutto sperando che l’iceberg imbocchi la via del Sud e che non si ribalti. Il rischio c’è, stiamo studiando 150 casi di emergenza cui dare risposta». Come lo sceglierete? «In base a forma e dimensioni. Dovrà essere piatto e grande all’incirca 60 per 20 metri. Mi farò calare con un elicottero insieme a cibo, un po’ di attrezzatura elettronica e una capsula di sopravvivenza. Si tratta di una specie di salsiccia in kevlar, dal diametro di quattro metri, che viene usata come scialuppa di salvataggio sulle piattaforme petrolifere, ma che assomiglia pure a un modulo spaziale. Fra i partner dell’impresa c’è la Argotec, azienda di Torino che si occupa anche del training tecnico degli astronauti». E una volta sull’iceberg? «Aspetterò che si sciolga, portandomi alla deriva e sperando di essere recuperato da qualche nave di passaggio». E nel frattempo? «Remerò o pedalerò su un ergometro, un piccolo attrezzo per creare corrente elettrica e tenere attiva la strumentazione di bordo. Mi porterò qualcosa da leggere, inoltre io e mia moglie siamo iscritti al corso di laurea in psicologia di un’università online, la Open University. Quindi proveremo a studiare “insieme” grazie a internet». Ma l’igiene personale: lavarsi, fare i bisogni? «Sarà curioso, mi piacerebbe trovare modalità per ri-usare le acque grige e i rifiuti organici. Certamente porterò con me il mitico “secchio”, anche se dovrò stare attento al congelamento». Un secchio? «Mentre attraversavo l’Atlantico ho scoperto che era il migliore sistema per defecare. All’inizio provavo a farla sporgendomi fuori dalla barca, però quando c’erano le onde grosse mi ritrovavo tutto a bordo. Poi l’illuminazione: il secchio funziona alla grande e ho scoperto anche che le feci sono un’eccellente esca per i pesci: lo svuotavo e arrivavano, e la cena era pronta. Sembra una sciocchezza, eppure anche questo mi aiuterà a comunicare che anche l’immondizia ha valore. Dietro questa avventura c’è un comitato scientificomultidisciplinare e vorremmo realizzare programmi di educazione in tutto il mondo per ragazzi e adulti». Dunque fra letture, studio ed esperimenti sarà sempre indaffarato? «Immagino proprio di no, infatti la vera sfida sarà restare lì senza far niente, a 20 gradi sotto zero. In questo mi aiuterà l’ipnosi». Prego? «È una cosa affascinante ma anche estremamente naturale. L’ho già sperimentata quando ho attraversato di corsa gli Usa. Io sono anche un mental coach, seguo atleti professionisti per migliorare le loro performance ed è uno strumento che dà soddisfazioni enormi». Come funziona? «Si tratta di una situazione di profonda concentrazione, non c’è nulla di magico o misterioso, scordiamoci i ciarlatani che si vedono in tv: sono tecniche che si insegnano in apposite scuole ma che riguardano anche la vita di tutti i giorni: quando uno sta guidando la macchina è come sotto ipnosi, la sua concentrazione lo induce a pensare solo a quello». Lo sa che lei è l’esempio lampante della perfetta coesistenza fra parte filosofica e pratica? «Può darsi, anche se la mia non è l’unica via che porta alle risposte. È la mia maniera di vivere. Uno può fare esplorazioni anche stando a casa a leggere un libro». Alex, lei è uno “senza limiti”? «Al contrario. I limiti esistono e per fortuna. Quando ti dicono “sei imperfetto perché hai dei limiti” è una balla. Che senso avrebbe la vita? Non ci sarebbe avventura, saresti sempre sparato come una palla di cannone. Invece ci vuole rispetto per ogni cosa e i limiti sono quelli che incontri per strada e che grazie a Dio mettono ordine in tutto». A proposito, durante il suo peregrinare ha mai incontrato Dio? «Tante volte e sotto tante forme. Quando dopo cinque giorni di digiuno in Atlantico sono arrivato in un arcipelago e ho potuto pescare; quando finisce una tempesta in mare; quando riabbracci tua moglie dopo 10 mesi fra le onde. È un credere in qualcosa, in un ordine anche se la vita sembra un caos. Ho la sensazione che sia così, e mi fa star sereno, perché comunque tutto alla fine ha un senso e non ti fa sentire solo». intervista di Tommaso Lorenzini @TexBomb