Il governo si gioca l’Inps e discrimina i lavoratori

Il ritiro anticipato di statali sarebbe la mazzata definitiva per le casse dell’Ente e un’altra sberla ai dipendenti privati costretti da Monti ad aspettare i 67 anni per l’addio
di Maurizio Belpietrodomenica 30 marzo 2014
Il governo si gioca l’Inps e discrimina i lavoratori
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Il ministro della Pubblica amministrazione Marianna Madia pare aver trovato il modo per rilanciare l’occupazione. L’idea sembra il classico uovo di Colombo: per far largo ai giovani, la signora vuole mandare in prepensionamento un po’ di statali e rimpiazzarli con nuove assunzioni. Semplice, no? C’è da chiedersi perché chi c’era prima di lei non ci abbia pensato. Dunque, se la misura troverà concreta applicazione avremo presto un certo numero di dipendenti ministeriali che si godranno il riposo a spese dell’Inps e altrettanti ragazzi che andranno a sostituirli dietro la scrivania. Ma avremo anche un po’ di debito pubblico in più, un buco dell’ente previdenziale un po’ più profondo e un Prodotto interno lordo un po’ più giù. Già, perché quanto propone la responsabile del pubblico impiego, nonché indimenticata addetta al lavoro per conto del Pd, in realtà è ciò che si è fatto negli ultimi cinquant’anni e il risultato è che abbiamo più pensionati che lavoratori attivi, una spesa previdenziale tra le più elevate d’Europa e una montagna di miliardi di debiti. Alberto Brambilla, fino a poco tempo fa presidente dell’ente che doveva controllare la spesa pensionistica, ha stimato che, fatte cento le persone che ricevono un assegno dall’Inps, solo sessanta hanno versato i contributi che giustificano il vitalizio. Detto in termini più brutali significa che il quaranta per cento dei pensionati incassa soldi a sbafo. Alcuni prendono la pensione per effetto di leggi che consentivano di andare a riposo con soli vent’anni di lavoro, altri perché il ministero del Lavoro ha consentito uno scivolo a seguito di una crisi aziendale. Sta di fatto che, su 17 milioni di pensionati, a termini di contributi quasi otto non avrebbero diritto di ricevere la pensione. La situazione è tale che lo Stato, pur di tenere in piedi il baraccone previdenziale, è costretto ogni anno a mettere mano al portafogli e questo risucchia quasi un terzo della spesa pubblica. Il pozzo senza fondo della previdenza tra l’altro riguarda proprio gli statali, in quanto fra i dipendenti della pubblica amministrazione è invalso da sempre l’uso di usufruire di leggi e leggine per ritirarsi dal lavoro. Risultato, l’Inpdap, cioè l’istituto dei lavoratori dello Stato oggi confluito nell’Inps, ha sempre avuto un bilancio in rosso e nella fusione con l’altro colosso della previdenza ha portato in dono un disavanzo di 13 miliardi, che prima o poi lo Stato dovrà ripianare, pena il fallimento dell’ente. Già questo è sufficiente per capire che l’idea di Marianna Madia non è una grande idea. Mandando a casa altra gente si rischia infatti di allargare il buco dell’Inps e non di ridurlo, perché se da un lato si libera una scrivania per far posto ai giovani, dall’altro c’è un pensionato in più che non ha raggiunto i requisiti per la pensione. Per lo Stato si tratterebbe di una spesa in più, anzi, di un portafoglio in più da mantenere e alla fine la somma non potrebbe che essere negativa. Tuttavia, a sconsigliare di battere la strada indicata dal ministro della Pubblica amministrazione c’è anche un’altra ragione. Come è noto, nel 2011, appena insediato il suo nuovo governo, Mario Monti ha dato via libera a una draconiana riforma delle pensioni. Da anni si discuteva di come elevare l’età a cui ritirarsi, immaginando un lento adeguamento ai parametri europei. Ma la ministra del Lavoro dell’esecutivo tecnico decise in un colpo di passare da 58 a 65 anni, anzi 67. Da quel giorno i trentacinque anni di contribuzione non bastano più e per stare tranquilli ne servono quaranta, anzi, qualche volta quarantadue. Questo vale per i comuni mortali, i quali, giunti alla soglia della pensione, hanno scoperto grazie a Elsa Fornero di dover lavorare altri sette anni, mentre centinaia di migliaia di dipendenti già destinati alla pensione per effetto di accordi aziendali si sono ritrovati esodati, senza cioè stipendio né pensione. Fin qui ciò che riguarda il settore privato, cioè quello più colpito dalla riforma previdenziale del governo Monti. Ma secondo Marianna Madia il settore pubblico ha altre regole o, meglio, si prepara ad averle. Perché, per prepensionare gli statali, il ministro si appresta a derogare alle norme in vigore. Così, oltre ai danni già descritti, si otterranno due risultati. Intanto si ufficializzerà il fatto che non tutti i lavoratori sono uguali. C’è chi, lavorando per il settore privato è soggetto a parametri rigidi e anche al rischio di perdere il posto e chi, lavorando per lo Stato, di tutto ciò può farsi un baffo. Seconda conseguenza, prepensionando gli statali per rimpiazzarli con altri statali si otterrà di far comprendere a tutti che la spending review non esiste e che nei ministeri si spende e spande tanto quanto prima. Insomma, esattamente quel che tenevamo. di Maurizio Belpietro

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