I due partiti americani si dividono il Congresso, con i democratici che controllano il Senato e i repubblicani la Camera, e le loro ali estreme, i liberal finanziati dai sindacati e i radicali dei Tea Party, stanno condizionando pesantemente i rispettivi leader, il democratico Harry Reid capo del Senato e il repubblicano John Boehner speaker della Camera, congiurando insieme contro la ripresa economica del paese. Il rapporto di oggi del ministero del lavoro ha deluso le aspettative, riportando solo 113mila nuovi posti contro i 189mila attesi dagli economisti, e cio’ segnala che il passo della crescita e’ ancora inadeguato quattro e mezzo dopo la fine della recessione. L’America ha cioe’ rialzato a fatica la testa, con una media del 2,5% annuo di aumento del Prodotto interno lordo (PIL) dal giugno 2009, che si e’ ridotta all’1,9% nel 2013, e con il tasso di disoccupazione che e’ calato al 6,6%, ma soltanto perche’ il livello di partecipazione della popolazione alla forza lavoro e’ ai minimi da decenni, e il governo considera nelle statistiche soltanto chi lavora, anche se part time, e chi attivamente lo insegue facendo domanda. Chi e’ scoraggiato per non averlo trovato e smette di cercarlo, insomma, “migliora” il dato. Le imprese fanno la loro parte, anche grazie all’export, e i loro profitti hanno fatto bene a Wall Street l’anno scorso, fino a portare gli indici a livelli record, persino a rischio di bolla. Il fenomeno dell’estrazione del gas e del petrolio dalle falde sotterranee (fracking) ha contribuito a migliorare drasticamente la bilancia dei conti energetici, e ancora di piu’ potrebbe essere raggiunto se Obama desse il via libera al progetto “Keystone”, la conduttura che faciliterebbe il trasporto del gas dal Canada e dal nord degli Usa agli stati del Golfo, a sud. Contro il progetto sono insorti gli ambientalisti, che osteggiano il fracking e l’industria del petrolio in nome del Global Warming: da circa 5 anni ricattano Obama e i democratici, di cui sono forti finanziatori. Ma i Verdi sono solo una delle due anime che ostacolano la ripresa Usa da sinistra. L’altra sono le union, che sono ferocemente contrarie ai patti di libero scambio con l’estero. In discussione c’e’ la concessione da parte del Congresso al governo del cosiddetto “fast track” (corsia veloce). E’ la legge indispensabile a Obama per trattare gli accordi commerciali, separati, con la Unione Europea e con i paesi raggruppati nel TPP ,Trans Pacific Partnership (Australia, Brunei, Cile, Canada, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Peru, Singapore, Usa e Vietnam) ed avere la garanzia di una ratifica successiva in parlamento con un solo voto secco. Senza “fast track”, i partner internazionali non sono disposti a siglare accordi perche’ non sarebbero definitivi, ma soggetti ad eventuali emendamenti introdotti da lobbisti di particolari settori e interessi Usa. Di sicuro, i sindacati Usa chiederebbero misure protezionistiche a favore dei propri tesserati, mettendo i bastoni nelle ruote di una concorrenza aperta, che farebbe bene ai consumatori e alle imprese impegnate sull’import e sull’export, in America e nei paesi partner. Obama stesso ha caldeggiato il fast track nel Discorso sullo Stato dell’Unione, ma il giorno dopo lo speaker del Senato Reid, del suo stesso partito, ha dichiarato che non lo mettera’ ai voti, che non se ne parla almeno fino alle prossime elezioni di medio termine. I sindacati hanno vinto. Ma un’altra questione e’ calda di questi tempi in Congresso, la riforma della immigrazione, e qui a fare opposizione e’ il GOP. Il mondo del business, che va dall’high tech all’agricoltura, spinge da sempre per una liberalizzazione degli ingressi di diplomati e di lavoratori per le campagne: la domanda di cervelli e di braccia e’ altissima, e sarebbe l’ovvia benzina di una ripresa piu’ sostenuta. L’establishment repubblicano e’ d’accordo. L’anno scorso il Senato aveva passato una legge in proposito, anche con l’appoggio di senatori repubblicani. Non di tutti, pero’, perche’ i Tea Party si oppongono alla regolarizzazione dei clandestini, ma soprattutto chiedono che prima di ogni soluzione vengano sigillati i confini. Mesi fa, avendo capito la lezione politica del 2012, quando gli ispanici si buttarono sul carro di Obama perche’ Mitt Romney era stato costretto dai Tea Party a richiedere la “autodeportazione” degli 11 milioni di irregolari, anche John Boehner, lo speaker, Paul Ryan ed Eric Cantor, la triade dirigente del GOP alla Camera, avevano avanzato l’idea di una riforma che concedesse una sorta di legalizzazione. Sembrava che si fosse sbloccato il dibattito, e che si potesse arrivare alla riforma entro novembre. Sarebbe stato un bene per l’economia, e anche per il destino strategico del GOP, togliendo al partito la palla al piede dell’immagine di anti-immigrati. Ma le pressioni della componente dei Tea Party, che in molti distretti stanno presentando candidati propri che hanno posizioni radicali sul “sigillo dei confini” , sul “no all’amnistia”, e anche sul “pericolo che gli immigrati portino via il lavoro agli americani” hanno avuto successo. E’ dove gli “estremi si toccano”, poiche’ questa tesi protezionistica a destra e’ la stessa delle Union a sinistra. Il risultato e’ che, messo in un angolo, Boehner ha fatto marcia indietro e ha annunciato che, “siccome non ci si puo’ fidare di questa amministrazione sara’ difficile far procedere una proposta di legge finche’ non cambia questo stato di cose”. In sostanza, non passera’ alla Camera entro novembre alcuna legge di riforma sui clandestini. Sull’altare della radicalizzazione politica, il sacrificio dei patti di libero scambio internazionali e di una proficua apertura sull’immigrazione continuera’ a tarpare le ali alla crescita economica americana, e non solo americana. di Glauco Maggi