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Le toghe forzano la legge per il marchese del Colle

di Maurizio Belpietro domenica 12 ottobre 2014

2' di lettura

Toto Riina e Leoluca Bagarella non potranno assistere all’interrogatorio di Giorgio Napolitano durante l’udienza, in trasferta romana, del processo per la trattativa Stato-mafia. La notizia che i due ergastolani non varcheranno il portone del Quirinale è di per sé buona, perché significa che in questo Paese esiste ancora un po’ di dignità e il capo dello Stato, ossia l’istituzione più alta e rappresentativa della Repubblica, non può essere messo sullo stesso piano dei capi delle cosche. E però, per evitare che il presidente fosse ascoltato dai boss, la Corte d’Assise di Palermo è stata costretta a una forzatura non da poco, perché le regole del processo consentirebbero a tutti gli imputati di assistere all’interrogatorio e dunque non si capisce perché Riina, Bagarella, ma anche l’ex ministro Mancino, che nel procedimento in corso è uno dei massimi imputati, non possano sentire ciò che Napolitano ha da dire sul mistero più controverso degli anni Novanta. Una forzatura che implicitamente è anche un’ammissione di debolezza, perché se nonno Giorgio non avesse nulla da rimproverarsi, avrebbe da tempo accettato di rispondere alle domande dei pm. Se poi nonno Giorgio avesse avuto il coraggio che gli impone la carica, molto probabilmente avrebbe difeso e sostenuto lo scudo per le alte cariche dello Stato che gli era stato offerto dall’allora Guardasigilli Angelino Alfano. Invece, per timore di offrire una difesa a Silvio Berlusconi, ha evitato di esercitare un’azione di moral suasion e ora è alla mercé della Procura e dei suoi sospetti. Leggi l'editoriale di Maurizio Belpietro su Libero in edicola oggi 10 ottobre o acquista una copia digitale del quotidiano

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