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La Rivoluzione di Ingroia:parla soltanto lui

La nota del partito alle sue diramazioni territoriali: nelle tappe del tour elettorale l'ex pm è l'unico relatore
di Matteo Legnani domenica 10 febbraio 2013

4' di lettura

di Mario Giordano Lui sa, gli altri zitti. Da uno che ha scritto un libro («Io so») dedicato alla propria indimostrabile onniscienza, non ci si poteva aspettare altro: ha trasformato il suo  tour elettorale in una requisitoria itinerante, gira l’Italia ma solo per portare a spasso la sua voce. Lui sa, e dunque lui parla. Gli altri ascoltano, e non possono proferire verbo. Proprio nulla. Nemmeno in presenza degli avvocati. Dal dibattito al dibattimento, dalla giustizia politica alla politica giustiziata, la rivoluzione (civile?) è compiuta. Tappa dopo tappa, il codice  (civile?) è già stravolto. Non ci sono inviti, al massimo ordini di comparizione. Non ci sono contributi locali: al massimo si acquisiscono gli atti. Non si  domande: il pubblico al massimo può appellarsi alla clemenza della corte. Che nel caso è sempre lui, Antonio Ingroia, il pm che si candida al governo del Paese con un’idea della democrazia che ricorda un po’ quella del marchese del Grillo: «Io so’ io e voi non siete un cazzo». Per cui tacete per sempre. Pensate che sia un’esagerazione? Forse perché non avete ancora visto il comunicato, pardon: la notifica, inviata dal Comitato elettorale della Rivoluzione a tutte le sedi regionali. Titolo: tour elettorale del presidente Ingroia. E qui già sorge la prima domanda: presidente de che? Del partito? Della Rivoluzione? Del Guatemala? Dell’Inter? Della bocciofila di Marsala? Lui lo sa, certamente, ma per il momento ha evitato accuratamente di comunicarcelo. Dev’essere un vizio. Ancora meglio, poi, il resto del comunicato (pardon: notifica) che citiamo testualmente: «Carissimi, durante le partecipazioni sui territori del Presidente (aridaje!, ndr) Ingroia al fine di consentire regolare svolgimento del tour e per evitare ritardi sulla scaletta, vi chiedo di prevedere che l’unico relatore sia lo stesso Antonio Ingroia e che tali incontri non siano impostati sotto forma di dibattiti. È sottinteso che la presenza dei candidati è gradita e auspicata». In altre parole: vengano pure, ma stiano zitti. Come le vallette di Mike Bongiorno al Lascia e Raddoppia. Se tanto mi dà tanto, la Rivoluzione è già cominciata: in attesa di cambiare le regole dello Stato, si cambiano quelle delle campagne elettorali. E si introduce la rivoluzionaria figura del candidato muto, che ha il fondamentale compito di fare la bella statuina a maggior gloria del signor Rivoluzione. Diritto di parola? Negato. Il diritto di pensiero? Forse anche. Obiezione, vostro onore. Obiezione respinta. E perché? Perché «io lo so». Avanti di questo passo, se mai dovesse diventare presidente del Consiglio già immagino il primo discorso per la fiducia, preceduto da un messaggio (pardon: notifica) a tutti i parlamentari: «Al fine di evitare ritardi sulla scaletta vi chiedo di prevedere che l’unico relatore sia lo stesso Ingroia e che la seduta della Camera non sia impostata sotto forma di (inutile) dibattito». Chi è contrario, potrà prepararsi all’unica discussione ammessa: quella con i secondini di Rebibbia. Lui sa, che ci volete fare? Sa tutto, anche se non dice mai nulla. Sa della trattativa Stato mafia, ma non dice; sa di Dell’Utri, ma non dice; sa della nascita di Forza Italia, ma non dice. Come è stata ben detto di lui: finge di sapere quel che non dice, ma soprattutto non sa quel che dice. «Mi basta pensare quel che raccontava Borsellino della Boccassini». E che cosa raccontava? Lui lo sa (forse), ma non lo dice. «Mi basta pensare quel che Ciancimino Jr ha fatto contro la mafia». E che cosa ha fatto? Lo lo sa (forse), ma non lo dice. Serba il segreto così gelosamente che dopo un po’ è costretto a incriminare il presunto eroe antimafia per concorso esterno in associazione mafiosa. Dunque: eroe antimafia o amico dei mafiosi? Lui lo sa. O forse no. Comunque di sicuro non lo dice. A proposito di mafia, ieri mattina Io-lo-so Ingroia ha avuto l’ultima alzata d’ingegno: ha proposto il grado unico di giudizio nei processi contro le cosche. Trovata meravigliosa, no? Un altro progetto di grande civiltà, più o meno come quello di tagliare la lingua ai candidati che fan da comparse al suo tour. Del resto capitelo: andando al secondo e al terzo grado di giudizio, lui non vince nemmeno per sbaglio. In effetti: è  l’unico che è riuscito a far assolvere in tribunale persino Totò Riina. È sempre così: appena si approfondisce un po’ il caso, si scopre che lui l’ha condotto male. Per dire: ha perso la causa addirittura contro il bandito Salvatore Giuliano: lo fece disseppellire, giurando («Io lo so!») che non fosse lui quello nella tomba. Invece era proprio Giuliano.  A questo punto la prossima proposta inevitabile  del pm non potrà essere che quella di abolire non solo il secondo e il terzo grado di giudizio, ma  direttamente il processo. In altre parole:  per la condanna basta l’imputazione del pm. Ti arriva l’avviso di garanzia? Vale come sentenza di Cassazione. È la giustizia rivoluzionaria che sogna Ingroia, lui lo sa. E purtroppo ora lo sappiamo anche noi. Che ci volete fare? L’uomo è affetta da egocentrismo togato, megalomania giudiziaria. Avete visto il manifesto elettorale? È un «Ingroia» enorme con un po’ di colore attorno. E il «diario rivoluzionario» che viene tenuto sul sito? Sembra la marcia verso la Bastiglia: il 3 febbraio (a.d. Ingroia primo) la rivoluzione va a Castelvolturno (tutti zitti), allons enfants,  il 4 febbraio la rivoluzione passa per Lagonegro, Senise e Matera (tutti zitti, tutti zitti), les jours de gloire sont arrivés,  il 5 febbraio la rivoluzione annovera tra i rivoluzionari persino Giobbe Covatta (ma stia zitto pure lui). Voi capite che emozione: la Rivoluzione cominciata dalla trattativa Stato mafia è approdata a Giobbe Covatta. Ancora un passo in avanti e si arriva ai clown. Ingroia, ovviamente, lo sa. E sarà per quello che vuole avere il monopolio del palco.        

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