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Ingroia crolla e confessa:i magistrati fanno politica

L'ex pm, leader di Azione civile, conferma in un tweet i sospetti di sempre: "Io i berlusconiani prima li ho fatti condannare, poi li ho combattuti in politica"
di Francesco Specchia sabato 31 agosto 2013

4' di lettura

Se c’è una cosa -tra le tante- che mai si potrà perdonare ad Antonio Ingroia è d’esser riuscito, con un solo tweet, a confermare tutte le tesi del pamphlet L’uso politico della giustizia e ad attribuire -per un attimo, solo per un attimo - al suo autore, il gassoso Fabrizio Cicchitto, la dimensione politica di un Montesquieu. L’impresa era difficoltosa. Ma quando, infatti, l’ex magistrato Ingroia piccato da alcune ovvie considerazioni di Luca Telese a La 7 riguardo la sua inutilità politica (sua di Ingroia, non di Telese), ha ieri twittato: «Io certi berlusconiani li ho fatti condannare in aula come Dell’Utri e li ho combattuti in politica...» attestando come la magistratura sia la prosecuzione della politica con altri mezzi; be’, in quell’attimo, le teorie di Cicchitto, si sono illuminate d’inquietante verità. Dunque, Ingroia, vinto dall’ira, ammette: alcuni pm fanno politica. Purtroppo sono i pm che si candidano. E, tra i pm che si candidano, capita che qualcuno - anzi uno, Ingroia, il quale probabilmente ha dei franchi tiratori anche in famiglia -  non venga eletto. Può succedere. È legittimo esser trombati, senza averlo ancora capito. Ma è pure del tutto legittimo che un cronista come Telese affermi del non- eletto che si lasciò pigramente decadere dall’incarico di magistrato ad Aosta: «Ingroia candidandosi dopo le sue inchieste ha fatto un torto alla magistratura...». L’ex magistrato attuale leader di un movimento olografico, è uno che fa della tigna una bandiera; sicché, ovviamente, ha trasformato la querelle via twitter col giornalista in un’escalation. Roba d’un infantilismo invincibile, a raccontarla. Telese che dardeggia Ingroia. Ingroia che ribatte a Telese: «Cesare Terranova passò dalle inchieste sulla mafia alla politica per indagare in Parlamento su mafia e politica. Perciò ucciso». Telese che rintuzza Ingroia: «Ingroia è passato dalle inchieste sulla politica alla politica e pensa che sia corretto. Terranova non ha fatto il capolista in politica dopo aver indagato sulla politica. I berlusconiani ti ringraziano». Ingroia che, appunto, dettaglia a Telese la propria missione da templare antiberslusconiano dalle aule di giustizia a quelle parlamentari. Telese che s’attizza: «Come? Come? Uno fa condannare in Aula e poi combatte in politica? Bella idea delle regole», aggiungendo la sciabolata: «Di Pietro si dimise dalla magistratura prima di scendere in politica. Tu hai aggirato le regole». Ingroia che ripete a Telese: «Studia, studia». Telese che s’impegna di andare a studiare in Guatemala. Il suddetto botta-e-risposta possiede, per dire, l’appeal di un soliloquio di Scilipoti. Un lampo orchitico nel torpore di redazione. Se non fosse che il dottore (con la «e» sicula finale, come a riverberare sempre una funzione sanitaria, quasi salvifica, della laurea) Ingroia, disoccupato di un certo talento, ha ufficialmente confermato la lievissima ossessione libertaria che ne abbracciava la vita e le opere. Dio, le opere. Il problema è che in noi -non possiamo farci nulla-  il dottore Ingroia evoca sembra Crozza che imita Ingroia: il beccheggio lagnuso, gli occhi socchiusi a persiana, il borgoglio come ad avere sempre una fetta di sfincione in bocca: «I baghaii.....». Di Ingroia ricordiamo le centinaia di apparizioni televisive col piglio di un inquisitore di Dostoevskij, cavalcando la mitica «trattativa Stato-Mafia».; e l’invettiva contro Bersani che, giustamente, non se lo filava di pezza («Bersani non vuole una politica antimafia nuova e rivoluzionaria» come se le centinaia di magistrati contro le cosche prima di lui fossero stati inutili); e lo scazzo con Sallusti in tv, sempre con quell’aria omertosa -come scrive Stefano Di Michele sul Foglio- alla Peppino De Filippo, «...E ho detto tutto!»; e le aggressioni ripetute al Csm, al Presidente della Repubblica, agli avversari in genere; e i suoi fans che avevano inopinatamente arruolato i Fantastici Quattro, Thor e Dylan Dog come testimonial elettorali di Azione Civile senza che i Fantastici Quattro, Thor e Dylan Dog ne fossero a conoscenza perfino dell’esistenza di Azione Civile; e Tonino Di Pietro il quale confessava agli amici che mettersi con Ingroia è stato come giocare a scacchi con la Morte quando si pensava di giocare a dama, o come avere l’endorsement di Scalfari prima d’un’elezione, una sfiga ineluttabile; e la trombatura poderosa alle urne che da elettorali divennero cinerarie. E la sua lenta eutanasia dalla magistratura, «il plenum del Consiglio superiore della magistratura – mica lo studio Ghedini – ha approvato all’unanimità la delibera proposta dalla Quarta commissione che chiedeva la decadenza di Ingroia dall’ordine giudiziario «per essere rimasto assente dall’ufficio ingiustificatamente per un periodo superiore ai 15 giorni», scrive spietatissimo Telese; e la mano tesa del governatore siculo Rosario Crocetta per un incarico che ancora nessuno a ben capito. Sempre Telese, tra l’altro, instilla un atroce dubbio che mai vorremmo sollevare: «Ho letto, ma non so se è vero, che facendosi decadere senza dimettersi, Ingroia, conserverebbe la possibilità di essere riintegrato in ruolo dal Csm tra due anni. Altri sostengono che la decadenza equivalga alle dimissioni». Ecco. Ecco, di Ingroia noi ci ricordiamo tutto, fuorchè le opere.  Ma ci sono le opere? Della protervia quasi letteraria d’Ingroia, una frase condividiamo: il Paese ha emergenze pesantissime e giornali e tv parlano di Berlusconi. Giusto. Ma perché allora si dovrebbe parlare di Ingroia?...(questo pezzo compreso, of course).

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