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La Casta ci fa pagare anche la sua rottamazione

Beati gli esodati del Parlamento, il partito della buonuscita: finisce la legislatura, e i non ricandidati prenderanno l'assegno a 60 anni
di Andrea Tempestini domenica 27 gennaio 2013

3' di lettura

  E adesso chi lo spiega agli italiani? Chi dice ai 300 mila esodati creati dalla riforma Fornero che loro non potranno andare in pensione fino a che non avranno 67 anni, mentre gli «onorevoli trombati» lasceranno il Parlamento con una congrua pensione anche se non hanno l’età richiesta ai comuni lavoratori? Chi racconta ai 3 milioni di disoccupati privi di sussidio e in attesa di essere riavviati ad un posto di lavoro, che deputati e senatori rimasti orfani del seggio saranno ricompensati con una buonuscita di alcune centinaia di migliaia di euro a titolo di contributo per il reinserimento nel mondo normale? Chi avrà il coraggio di giustificare, di fronte ai contribuenti tartassati dal governo Monti e costretti a tirare la cinghia a causa della spending review, una spesa milionaria a carico del bilancio dello Stato che non ha pari in nessun altro Paese? Insomma, chi spiega uno scandalo che sobri e meno sobri hanno finto di impedire ma che continua in quanto nessuno in questi mesi ha mosso un dito? Già, perché rottamare costa e non da ora. Mandare a casa parlamentari che siedono sui banchi di Montecitorio e Palazzo Madama da una vita non è gratis. Non soltanto perché ogni «esodato» dal Palazzo è subito rimpiazzato da un nuovo «assunto», dato che in politica non è previsto il blocco del turnover e per quante promesse siano state fatte le legislature non conoscono crisi e dunque anche in quella che comincerà dopo il 24 febbraio la «pianta organica» delle due Camere rimarrà la stessa. Trecentoquindici senatori, 630 deputati, non uno di più, ma neanche uno di meno. Certo, negli ultimi tempi lo stipendio è un po’ dimagrito a causa delle polemiche anti-Casta. Le diarie non vengono erogate senza controlli come succedeva prima, consentendo ai parlamentari di guadagnarci, e pure l’assegno ai portaborse è sottoposto a verifica. Ma la gran parte dei benefit rimane, compresa la possibilità di godere del vitalizio prima di quando i lavoratori comuni possano godere dell’agognata pensione. Agli onorevoli bastano 10 anni di servizio per avere l’accredito mensile, senza raggiungere i 65 anni, e tanti saluti a chi invece si è dovuto sobbarcare  40 anni di contributi ma non può ancora ritirarsi perché deve attendere la finestra prevista dalla riforma Fornero. A dire il vero bastano anche soli cinque anni di onorato servizio a Montecitorio per poter incassare il vitalizio, a patto che si abbiano almeno 65 anni, però in compenso la «pensione» non è minima come invece quella che riceve chi nel mondo del lavoro ha lavorato meno di quindici anni. Come dicevamo, il pensionamento degli onorevoli trombati non è a costo zero e non solo perché una volta a casa gran parte degli ex riscuoterà il vitalizio, ma soprattutto perché l’esodo è incentivato da un assegno di fine mandato. Una specie di trattamento di fine rapporto concesso a deputati e senatori affinché possano con comodo reinserirsi nel mercato del lavoro senza dover patire le ansie della disoccupazione. Secondo  i nostri calcoli si tratta di una buonuscita di circa 45  mila euro netti ogni cinque anni trascorsi nel Palazzo. Tanto per dare un’idea, uno come Claudio Scajola, che alla Camera è stato circa 17 anni dovrebbe percepire qualcosa tipo 150 mila euro, soldo più soldo meno. Ovviamente, a sua insaputa. Massimo D’Alema, che è onorevole dal 1987 incasserà un assegno da 64mila euro. Secondo i conti del nostro Franco Bechis, l’ex presidente del Consiglio incasserà poi un vitalizio di  6 mila mensili  contro i 6.500 di Walter Veltroni. Il fondatore del Pd, avendo lasciato l’incarico per fare il sindaco di Roma, gode infatti del vecchio sistema previdenziale e dunque prende più soldi. Il parlamentare del Pdl e quello del Pd sono comunque in buona compagnia. Da Livia Turco a Francesco Rutelli, da Beppe Pisanu a Roberto Castelli: la lista dei veterani è lunghissima. Alcuni hanno deciso da soli di mollare la poltrona. Altri, invece vi sono stati costretti dal rottamatore fiorentino e dalla sua irruente campagna per le primarie, mentre, sul fronte avverso, la colpa è di Mastro Silvio, deciso a recuperare voti con le pulizie di casa. Sta di fatto che, seppure indotti da ragioni diverse, oggi i pensionati della politica si trovano tutti sulla stessa barca, ovvero rottamati e contenti. Non avranno più il seggio, ma la vita sorride loro, con la pensione e un ricco conto in banca. Auguri. Sperando che riescano a spiegare agli italiani come sono riusciti a vincere alla lotteria. di Maurizio Belpietro  

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