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La medaglia d'oro ha la faccia di bronzo

Tasse, permessi e responsabili: le ombre sulla Idem aumentano, ma la ministra Pd resta in carica come nulla fosse. Si dimetta
di Giulio Bucchi domenica 23 giugno 2013

3' di lettura

La ministra che abitava in una palestra a sua insaputa continua a non dimettersi. Mercoledì, dopo che erano cominciati ad emergere i particolari della vicenda, la responsabile delle Pari opportunità ha provato ad addossare la colpa al suo commercialista, negando di essere mai stata informata delle questioni formali, come appunto la residenza. E all’obiezione di chi le faceva presente che aver dichiarato che la sua prima casa era all’interno di un locale attrezzato per fare ginnastica le aveva consentito di non pagare l’Ici, Josefa Idem si è dichiarata pronta a versare il dovuto. Per la pluricampionessa il ravvedimento operoso chiuderebbe la questione, rimettendo le cose a posto e consentendole di rimanere ai vertici del ministero. In realtà la vicenda è tutt’altro che chiusa e, anzi, più emergono nuovi particolari (li raccontiamo nelle pagine interne) e più si capisce che in tutta questa storia c’è qualcuno che non la racconta giusta. Da quando il caso è esploso, prima sulle pagine dei giornali locali, poi su quella dei quotidiani nazionali, in particolare Libero, da parte della canoista c’è stata una corsa a minimizzare, quasi che la faccenda  si riducesse a un semplice errore formale, una banale dimenticanza di notifica della nuova residenza in conseguenza di un trasloco. Invece si scopre che la questione di dove abitasse il ministro, se a casa propria oppure in quella che è una palestra a tutti gli effetti, è l’aspetto meno rilevante di tutto il pasticcio. Già, perché il problema principale è che nei locali in cui Josefa dichiarava di risiedere, evitando così di pagare le tasse, al Comune di Ravenna non risultava affatto esserci una palestra. Tuttavia, dopo un accertamento compiuto dai tecnici del comune, si è scoperto che lì non c’è né una prima né una seconda casa, ma tapis roulant e cyclette, macchinari cui  - previo pagamento - aveva accesso chiunque volesse tenersi in forma. La palestra aveva anche un nome: Jajo Gym e a quanto pare nel 2011 era stata segnalata da un opuscolo dell’assessorato allo sport del Comune di Ravenna, dipartimento che per ben due legislature è stato retto dalla campionessa diventata ministro. In genere le palestre aperte al pubblico dovrebbero essere registrate, avere l’agibilità e rispettare una serie di requisiti previsti dalla legge. Ma quella posta in via Carraia Bezzi, cioè dove per il Fisco abitava la responsabile delle Pari opportunità, non risulta, anche se sul web si possono reperire facilmente le fotografie interne dei locali, con tanto di clienti impegnati negli esercizi fisici. Un impianto sportivo fantasma che però sul libretto del Comune veniva pubblicizzato con recapito telefonico e nome del gestore, che guarda caso è il marito di Josefa Idem.  Adesso la palestra è chiusa «per motivi familiari» e da Facebook da ieri sono spariti i riferimenti per rintracciarla. Ma il sito Ravenna e dintorni.it è riuscito comunque a parlare con uno degli istruttori che vi lavorano, il quale ha spiegato che in certe ore c’è il pienone di gente che vuole tenersi in forma, precisando anche le condizioni per abbonarsi. Cosa che contrasterebbe con la spiegazione secondo cui l’impianto affittato a titolo gratuito a un’associazione privata, aggiungendo mistero a mistero, perché il titolare dell’associazione nega di esserlo, precisando di svolgere solo una collaborazione con il marito del ministro. Dunque, più ci si addentra in questa storia e più si capisce che sono molte le cose da chiarire. Una prima casa che non è una prima casa. Una palestra che ufficialmente non è una palestra. Un’associazione privata che non si sa di chi sia. Un’autorizzazione a svolgere un’attività che non risulta. Ce n’è abbastanza per interrogarsi sul rispetto delle regole, anche se mercoledì Josefa Idem ha dichiarato alla stampa che il principio fondamentale della sua esistenza è proprio il rispetto delle regole. Di certo una regola la signora l’ha violata ed è quella del buon gusto: se si vuole essere un testimone dell’Agenzia delle entrate, facendosi premiare dal Fisco con tanto di medaglia ed encomio solenne, bisogna almeno ricordarsi di pagare le tasse sulla casa. Altrimenti si passa dalla medaglia d’oro alla faccia di bronzo.  di Maurizio Belpietro

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