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Il Pd minaccia chi fa domande

Bersani ci annuncia querele. La nostra colpa? Aver documentato i legami strettissimi tra la banca e il suo partito. Non sarebbe la prima volta che chi si occupa dell'istituto senese viene punito
di Nicoletta Orlandi Posti domenica 3 febbraio 2013

4' di lettura

  di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet Un partito serio, che si candida a guidare il Paese, non invierebbe l’annuncio di una querela ai quotidiani, accusandoli di aver pubblicato clamorose bugie. Un partito che tiene, come dice, alla propria onorabilità, invece di anticipare azioni giudiziarie a mezzo stampa, per prima cosa si preoccuperebbe di chiarire l’oggetto delle accuse e, nel caso, di correggere le informazioni non veritiere. Un partito che non avesse nulla da temere o da nascondere, ma che anzi avesse dalla sua la certezza di non aver nulla di cui vergognarsi, di fronte a notizie prive di fondamento le contesterebbe, rendendo noti dati e fatti a suo favore. Tutto ciò però nel caso del Partito democratico non è avvenuto, ma anzi è capitato il contrario. Il segretario del Pd invece di obiettare  con forza i suoi argomenti  a ciò che ritiene sia stato ingiustamente pubblicato, ha lanciato obliqui e minacciosi avvertimenti. Prima dicendo che non si farà sbranare, poi comunicando di aver dato mandato all’ufficio legale senza spiegare in che cosa consistano le «clamorose bugie», quindi, con stile intimidatorio, avvertendo che il suo non è un partito di «mammolette» e reagirà agli attacchi. Ma se è pacifico che il Pd non abbia nulla del partito serio, e men che meno democratico, e dunque si possa permettere di inviare ai giornali oscuri e minatori messaggi invece di spiegare quali fossero i suoi concreti rapporti con il Monte dei Paschi di Siena, altrettanto poco serio è un Paese che si lascia scivolare addosso tutto senza far nulla, salvo punire i giornalisti per una virgola fuori posto. C’è da stupirsi perciò che, una volta fatto fuori Berlusconi, ovvero colui che a sinistra hanno descritto per anni come il male assoluto per definizione, l’Italia continui a restare al 57° posto nella classifica mondiale della libertà di stampa? C’è da sorprendersi se, proprio mentre il Partito democratico minaccia Libero e il Giornale, viene a galla la storia del licenziamento del direttore della Nazione, colpevole solo di aver pubblicato un comunicato riguardante il Monte dei Paschi di Siena? La storia risale a circa due anni fa e a rivelarla è stato un sito online, ripreso da Dagospia. A guidare lo storico quotidiano toscano all’epoca era Mauro Tedeschini, già direttore di varie testate nazionali, tra le quali Quattroruote. Che fa Tedeschini per meritarsi il 16 aprile del 2011 l’immediata rimozione dopo solo nove mesi ai vertici del giornale? Semplice, pubblica una nota inerente il Monte dei Paschi di Siena che infastidisce il sindaco della città in cui ha il suo quartier generale la banca. Franco Ceccuzzi, l’uomo che ora si atteggia ad eroe per aver allontanato dai vertici Mps Giuseppe Mussari (suo testimone di nozze), a quanto pare non avrebbe gradito un articolo riguardante i rapporti tra il Monte e il Comune. E allora Tedeschini viene liquidato su due piedi. Spiega ora il direttore licenziato: noi non sapevamo dei derivati e del resto, ci eravamo limitati a riportare un comunicato, ma anche questo ha dato fastidio. Ci fossero stati dubbi sulle reali intenzioni del Pd dopo lo scoppio del caso che riguarda la sua banca, il racconto di Tedeschini  li fuga.  Il partito che si dice democratico e che esprime esponenti come Ceccuzzi, come Mussari e tanti altri che nella vicenda Mps hanno avuto un ruolo di primo piano, i giornali li vorrebbe al suo servizio, imbavagliati e ammaestrati a riportare solo le veline e i documenti ufficiali. Dà fastidio ai «democratici» che qualcuno si permetta di fare domande o che sottolinei la commistione tra affari e politica, gli intrecci perversi che sono stati costruiti a Siena e sono all’origine dello scandalo. Gli interrogativi posti ai dirigenti del Pd dalla stampa vengono liquidati come operazioni di sciacallaggio. È ciò che ci siamo sentiti rispondere l’altra sera in tv per bocca del presidente del partito, l’onorevole Rosy Bindi. La quale, alla denuncia dell’esistenza nello statuto del Pd  dell’obbligo per funzionari pubblici e privati di ripagare chi li ha nominati, invece di promettere di cancellare la norma, ha scelto di negarla.  Provate a riflettere:  il Pd nomina i vertici della banca e per il disturbo da questi si fa dare ogni anno il 30 per cento dello stipendio, per un totale di oltre due milioni. Però, quando scoppia lo scandalo delle truffe bancarie messe a segno nel mentre la banca era governata dai vertici indicati dal Pd, lo stesso partito se ne lava le mani. Finge di non conoscere chi ha nominato, ignora che sono iscritti al partito da anni, che lo hanno sovvenzionato per centinaia di migliaia di euro e che fino a ieri erano amati e coccolati  ad ogni manifestazione di partito. Ma in compenso minaccia chi ricorda come stavano le cose. Per anni i nipotini di Enrico Berlinguer hanno agitato la bandiera della questione morale, autoproclamandosi custodi della legalità, dei diritti, della trasparenza. Oggi, dopo quel che è successo e dopo le pressioni per mettere a tacere la libera stampa, è bene che tale bandiera la ammainino. Perché se ne vogliono issare una in sostituzione, l’unica che si addice loro è quella dell’immoralità.  

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