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Bossi travolto dallo scandaloMa è difficile trovare un reato

Il Senatùr deve temere più la sua base che i giudici
di Andrea Tempestini domenica 20 maggio 2012

Deve temere i leghisti più dei giudici

4' di lettura

  Può il segretario usare i soldi del partito per i suoi familiari o come benefit personali, pagandosi qualsiasi sfizio? No, naturalmente non può. Se lo vengono a sapere elettori e militanti, la sua carriera politica finisce in un lampo. È quel che sta accadendo a Umberto Bossi e alla stessa Lega Nord: voti dimezzati nel primo turno delle recenti amministrative, dimissioni, e Roberto Maroni che prende la guida del partito. È evidente a tutti i cittadini che non è accettabile quel che è avvenuto con i soldi della Lega Nord che hanno reso ricchi o agiati anche senza lavorare «the family», come il segretario amministrativo del Carroccio, Francesco Belsito, chiamava la cerchia naturale di Bossi. Caduta etica - Usare quei soldi a fine privato è una scorrettezza grave, un errore politico madornale, il segno di una caduta etica e del costume. È giusto quindi vedere la rabbia dei militanti, il desiderio di fare piazza pulita. Ma prima delle ramazze sono arrivate forze di polizia e magistratura. Le cose si sono certo scoperte per quelle indagini, su cui però i pm farebbero bene a imboccare una strada sicura cercando reati che possano passare sicuri al vaglio di un tribunale. Un reato inventato - Ieri molti giornali portavano invece la sintesi delle accuse della procura di Milano nei confronti della Lega. Il reato ipotizzato per il fondatore del Carroccio e i suoi figli sarebbe quello di «truffa nei confronti dello Stato», e la tesi dei magistrati è quella per cui non potevano essere erogate le tranche annuali del rimborso elettorale della Lega, perché utilizzate per fini diversi da quelli politici. Bene, quel reato è frutto di assoluta fantasia giudiziaria e non reggerebbe al vaglio di nessun tribunale della Repubblica. I rimborsi - Sono anni che da queste colonne critichiamo la legge sui rimborsi elettorali dei partiti, perché quello è il suo titolo politicamente truffaldino, ma la sostanza è evidentemente altra: non rimborsano spese effettuate, ma finanziano senza nessun controllo i vari partiti in barba al referendum votato da milioni di italiani. L’unica condizione prevista dalla legge per erogare il rimborso è quella della presentazione di un bilancio che segua un modello pre-definito di catalogazione di entrate e spese. In caso di ottemperanza non è prevista nessuna sanzione penale, ma solo la possibilità che il presidente della Camera (istituzione che eroga i rimborsi elettorali) chieda al ministero dell’Economia di sospendere le rate di rimborso fino a quando non venga presentato uno schema di bilancio regolare. Eventualità che per altro non si è mai verificata. I bilanci - I partiti non debbono presentare una sola ricevuta o scontrino per avere quei rimborsi - ed era quello che criticavamo, e la legge non indica nessuna finalizzazione di quei finanziamenti, non prevedendo quindi alcuna sanzione per il loro utilizzo. Risultato: i partiti di quei soldi possono fare quello che vogliono. Non solo: ma quelle somme dei rimborsi non sono le uniche ad affluire in entrata nei bilanci dei partiti. Ci sono anche le tessere dei militanti, l’autotassazione degli eletti, i finanziamenti privati che ammontano comunque a decine di milioni di euro. Nella cassa di un partito è praticamente impossibile distinguere fondi pubblici e fondi privati. Nessuno potrebbe mai provare che la paghetta ai figli di Bossi venga dai rimborsi elettorali piuttosto che dalle tessere dei militanti. E sulla carta un partito potrebbe dare uno stipendio ai figli del leader, pagargli casa e vacanze, rimborsargli spese mediche senza che la cosa debba del tutto interessare alla magistratura. Possono decidere così gli organi direttivi di un partito (associazione giuridica per altro non riconosciuta), e poi vedersela con elettori e militanti. Lavoro di fantasia - Il reato di truffa è quindi pura invenzione dei pm di Milano. Può alzare polveroni politici- come è avvenuto - ma alla fine diventa un’arma a doppio taglio. Perché indagare i Bossi per un reato che non c’è significa farli assolvere domani dal tribunale e trasformare chi ha responsabilità politiche evidenti in vittima giudiziaria. Così con l’aureola degli eroi perseguitati si ripresenteranno sulla scena politica. Eppure qualche interesse giudiziario potrebbe esserci nella vicenda dei Bossi. Ad esempio, qualcuno ha controllato le dichiarazioni dei redditi dei figli? Erano dichiarati regolarmente stipendi e benefit ricevuti dalla Lega o sono stati compiuti reati fiscali? Quelli magari fanno meno scoop, sono possibili reati dei singoli, ma se provati reggono all’esame dei giudici. Imboccare piste di fantasia - evidentemente senza nemmeno avere letto le leggi che si vorrebbe difendere - è invece assai rischioso e lascia qualche dubbio sulla reale volontà di perseguire i reati da parte degli inquirenti. di Franco Bechis  

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