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Così l'ex camerata Gianfry ha sputtanato anche la "sacra" El Alamein

Il presidente della Camera celebra l'anniversario della storica battaglia. Più che amor patrio, è il tentativo di dimenticare Montecarlo e i Tulliani...
di Giulio Bucchi domenica 21 ottobre 2012

2' di lettura

di Renato Besana  Ieri, nel folto gruppo parlamentare che si è recato a rendere omaggio ai caduti di El Alamein, nel settantesimo anniversario della battaglia, c’era qualcuno di troppo: Gianfranco Fini, che avrebbe fatto meglio, una volta atterrato sul suolo egiziano, a proseguire per Sharm el-Sheikh, dove si sarebbe potuto dedicare con profitto agli sport acquatici nei quali eccelle. D’accordo, è il presidente della Camera, ma il ruolo istituzionale non si può scindere dalla persona che lo ricopre. Che andasse altrove: al ballo della Croce Rossa a Montecarlo, o in una casa del popolo a moderare il dibattito tra Renzi e Bersani. Di lui si potrebbe ripetere, a rovescio, quel che si legge sulla lapide che, in pieno deserto, ricorda i nostri caduti: a lui mancò il valore, non la fortuna.  Il pascolo - L’Italia, nonostante tutto, è di cultura cattolica; di conseguenza non può censurare Gianfry, che dopo aver pascolato nei prati della sinistra ha intrapreso la via del pentimento. La sua storia ci induce tuttavia al dubbio: con una punta di malizia, si potrebbe arguire che il ritorno alle origini sia stato dettato da contingenze sfavorevoli. Il grande centro è ormai nell’archivio delle ambizioni sbagliate, Futuro e Libertà è in liquidazione, i Mille cui si era appellato sono un centinaio scarso, Casini l’ha abbandonato al suo destino. L’affossatore di An, rimasto senza una casa politica - quelle di vacanza sembra invece che in famiglia abbondino - cerca di tornare alle antiche frequentazioni, quasi a dire: eccomi qui, cari amici e camerati, sono ancora uno di voi. Il Fini di qualche tempo fa avrebbe tenuto un’orazione commemorativa vibrante di antifascismo; quello di oggi s’inchina deferente, come avrebbe fatto in anni lontani (con tutte le ambiguità del vecchio Msi, che in una tasca aveva la sabbia di El Alamein, nell’altra gli accordi sottobanco con la Dc). Leggi l'articolo integrale di Renato Besana su Libero in edicola oggi, domenica 21 ottobre

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