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Il vigile comunista e il compagno rosso: i due Pepponi se le suonano

Uno di fronte all'altro in un blitz anti-rumore, poi la polemica sul Manifesto: "Abusi delle forze dell'ordine". "No, odio per la divisa"
di Giulio Bucchi domenica 26 agosto 2012

4' di lettura

  di Camillo Langone   Conosciamo bene le baruffe tra Don Camillo e Peppone, un po’ meno quelle fra Peppone e Peppone. Non perché più rare (i comunisti si sono sempre scannati fra loro, vedi Stalin e Trotsky) ma perché più occultate, almeno  nei guareschiani Anni Cinquanta. Oggi però, grazie all’onnipresenza dei media, nemmeno i compagni riescono a tenersi dentro niente. L’ultima querelle è scoppiata la notte di ferragosto in un locale napoletano, proseguendo per giorni, e non sembra ancora finita, sulle pagine del Manifesto (ma non aveva chiuso?). Peppone 1 si chiama Vincenzo Morvillo ed è il responsabile culturale provinciale di Rifondazione comunista (ma esiste ancora? Non erano diventati tutti vendoliani?). Peppone 2 si chiama Luigi Perna ed è stato segretario, sempre per la provincia di Napoli, dei Comunisti Italiani (altro partitino di cui avevo perso le tracce), mentre ultimamente è passato al sindacato (Cgil, ovvio).  Nonostante cariche e curriculum, l’iniziale terreno di scontro non è stato politico bensì alcolico-giudiziario: Peppone 1 si trovava nel locale in veste di nottambulo un po’ su di giri, Peppone 2 in qualità di vigile urbano chiamato dai vicini per far cessare gli schiamazzi. Molto significativo il nome dell’esercizio: «Perditempo», una delle tante vinerie con pretese di caffé letterario che assordano i residenti dei centri storici con la scusa dell’aggregazione. Non esistono più le Case del Popolo di una volta. Vincenzo Morvillo al «Perditempo» stava festeggiando il suo quarantaquattresimo compleanno. È lui stesso, sul Manifesto, a descrivere l’allegra bicchierata: «Una trentina di persone ascolta musica, balla, flirta, beve qualcosa: insomma si diverte». Il divertimento dev’essere andato troppo per le lunghe visto che alle tre di mattina un vicino si trova costretto a chiamare la forza pubblica per cercare di dormire. Magari, chissà, era uno di quegli strani individui che la mattina lavora.  Il caso, o il dio delle polemiche giornalistiche, ha voluto che quella notte fosse di turno Peppone 2, accorso con i colleghi di volante. A questo punto le versioni di Morvillo e di Perna divergono irrimediabilmente, un po’ come le mozioni di Bertinotti e di Cossutta nella riunione in cui i rifondaroli dovevano decidere se continuare a sostenere Prodi oppure no (per la cronaca: fu scissione). Secondo Peppone 1 i vigili assumono da subito «un tono arrogante, provocatorio». Scatta la perquisizione, i festaioli vengono fatti uscire e il festeggiato non ci sta e continua a protestare vivacemente, ma a suo dire non violentemente, «servendosi del democratico strumento della parola». I poco democratici uomini in divisa gli chiudono in faccia la porta del locale, lui cerca di rientrare, all’interno un vigile si oppone, i due «entrano in contatto e si tirano leggermente per un braccio».  A questo punto Morvillo viene arrestato, portato al comando e piantonato per il resto della notte senza potersi sdraiare né chiamare un avvocato, quindi trascinato in manette in tribunale, processato per direttissima e condannato a sei mesi per resistenza a pubblico ufficiale a solo nove ore dal fatto (fatemi capire: ma questo velocissimo tribunale di Napoli è uno di quei tribunali campani che a volte scarcerano sanguinari camorristi per decorrenza dei termini, non trovando il tempo di processarli?). In effetti è una ricostruzione impressionante, con sfumature tra Kafka e Pinochet. Ma, secondo Peppone 2, è una ricostruzione falsa. «Caro compagno», esordisce nella sua replica sul Manifesto, «la persona che gestiva la musica quasi cacciò fuori con parole offensive la collega che aveva chiesto di abbassare la musica. Da un compagno come te mi sarei aspettato che prendessi le difese di una lavoratrice notturna e invece ti sei unito a quelli che si ribellavano contro una normalissima attività di routine».  Nella lettera di Perna è tutto un «caro compagno» e un rimarcare la propria correttezza, anzi, la propria benevolenza: anziché fargli passare la notte su una sedia del comando di polizia municipale avrebbe potuto sbatterlo in camera di sicurezza «al buio e con letti di pietra» (letti di pietra? Ma dove siamo? Ai Piombi? Allo Spielberg?). Di lettera in lettera, di botta in risposta, sulle pagine del Manifesto si snoda un perfetto dialogo tra sordi. Il cui significato supera di molto il livello politicamente non stratosferico dei due contendenti, Pepponi piccoli. Sono in ballo due interpretazioni diverse, quasi opposte, della stessa ideologia. Da una parte c’è un comunismo libertario e piuttosto immaginario, dall’altra un comunismo arcigno e fin troppo reale: come dire Renato Nicolini contro Leonida Breznev. Ovvio che il primo sia più simpatico del secondo, peccato però che l’assessore dell’effimero sia morto e che tutti gli estimatori della caciara di sinistra finiranno per votare Vendola, un libertario finto e un censore vero: il Peppone più pericoloso di tutti perché senza baffi, quindi in incognito.    

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