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Il giudice ha sbagliato i contiPapà separato perde figlie e soldi

Prosegue la campagna di Libero sui "giustiziati", cittadini che si sono rovinati la vita a causa di lungaggini burocratiche e bizantinismi della giustizia
di Lucia Esposito sabato 30 giugno 2012

3' di lettura

  Da padre scrupoloso, marito fedele (e felice) e professionista stimato, in un giorno ho perduto tutto. Nell’estate 2009 mia moglie (eravamo sposati da 4 anni con due bellissime bimbe), che mi pareva un po’ depressa per il secondo parto e la gestione delle bimbe, mi comunica di non essere più innamorata di me. Si isola (con il suo telefono cellulare) sempre di più e nonostante neghi l’esistenza di un’altra persona io raccolgo un sms in cui l’attuale compagno dichiara di volere vivere per sempre con lei. Mia moglie nega ma viviamo senza intimità. Dall’autunno 2009 all’autunno 2010 preleva dal conto  di famiglia contanti per circa 15.000 euro ogni anno impedendomi  di controllare la destinazione delle spese. Nell’autunno 2010 mi chiede la separazione consensuale che le nego per la tenera età delle bimbe. A primavera 2011, dopo avere svuotato il conto  corrente di famiglia, mi chiede la separazione giudiziale millantando una mia presunta “violenza psicologica” nei suoi confronti, chiedendo la mia casa, l’affido esclusivo delle bimbe e 3.500 euro per ciascun mese oltre alle spese.  Consigliato dal mio avvocato produco dichiarazioni e prove documentali di tutto l’accaduto. A giugno 2011 una giudice mi condanna a lasciare il mio appartamento, considerando i miei redditi lordi invece dei redditi netti mi condanna a pagare 2.000 per ciascun mese oltre a spese mediche, scolastiche, per il tempo libero e le vacanze, concedendomi di frequentare le mie bambine per tempi inferiori al 20% dei tempi totali. Una situazione insostenibile dal punto di vista prima organizzativo e poi economico. Per tralasciare il tema della continuità educativa e degli affetti verso le mie figlie. È d’uso della giustizia italiana considerare con l’appartamento anche il mobilio che non posso asportare. Appartamento e arredi erano stati acquistati oltre 10 anni prima del matrimonio con un importante prestito bancario. Così mi ritrovo, a 47 anni, senza una casa dove dormire e stare con le bambine nei tempi che mi hanno concesso, senza mobili con cui arredare un’altra dimora, senza denari, senza moglie (questo, visto l’accaduto, è un dato positivo).  A settembre 2011 presento alla stessa giudice una istanza di revisione della condanna, sia dei tempi di frequentazione delle mie bambine sia dell’ammontare economico, dichiarandomi favorevole a ogni controllo. La giudice, molto impegnata, non ha tempo di leggere i documenti prodotti anche sulle condizioni economiche del 2011 e sulla vita imposta dalla mia ex moglie alle bambine. Nel frattempo la mia ex moglie inizia una persecuzione per drenare ogni mio reddito prodotto alla fonte (le Società per le quali lavoro) motivandola con i miei mancati pagamenti degli importi cui la giudice mi ha condannato non raccontando evidentemente di tutte le somme (documentate) locupletate in anticipo.  Per un intero anno ho cercato di lavorare, rendere vivibile la casa di campagna dei miei genitori per avere un posto dove dormire, corso per ritirare e riaccompagnare le mie bambine, scendendo da Milano a Bologna e tornando a Milano, in costante affanno monetario e di liquidità, vittima dei pignoramenti di redditi lordi della mia ex moglie che vive col suo compagno a casa mia. L’affido condiviso è una barzelletta in quanto tutto è imposto alle mie figlie dalla mia ex moglie. Io sopravvivo, mangiando e dormendo con i denari dei mei genitori dovendo peraltro rendicontare il tutto al Giudice Tutelare essendo mio padre interdetto. Mi è stato concesso l’unico vantaggio di non pagare l’Imu per la casa che la giudice mi ha costretto a lasciare. Con quali valori e convincimenti sulle regole della società cresceranno le mie figlie avendo provato il peso di decisioni dispotiche e ingiuste assecondate dalla giustizia? In attesa di tempi processuali che avranno un epilogo alla maggiore età delle bimbe, quando nulla avrà più utilità. Claudio Cattabriga Milano  

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