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La Casta ha la sua pecorina espiatoria: ecco perché condanna la Minetti

di Giulio Bucchi domenica 22 luglio 2012

3' di lettura

Quelli che dicono «il problema è un altro» in linea di massima andrebbero arrestati, ma a margine  del caso Minetti i problemi sono altri per davvero: e non solo che lei sia diventata la pecorina espiatoria del Pdl, ma che il Parlamento e la rappresentatività in generale, dal 1994 a oggi, sono diventati un’altra cosa. Alcuni aspetti sono noti: tre quarti del Parlamento teme di non essere rieletto perché è composto da miracolati che il Porcellum ha permesso di selezionare sulla base di capricci o poco altro. Va poi ricordato, un po’ didascalicamente, che negli ultimi vent’anni sono cambiate la politica e la televisione: Bruno Vespa raccontò che nei giorni immediatamente successivi al 27 marzo 1994 (fine della Prima Repubblica, teorico inizio della Seconda) conobbe e ospitò più leader politici di quanti ne avesse conosciuti nei trent’anni precedenti, il che coincise con un netto abbassamento del loro status; la rincorsa del politico verso la gente comune, in pratica, arrivò a fine corsa: la tv tese a restituire un politico a misura d’uomo ma che spesso era un uomo sempre più abbruttito e incazzato, gente che applaudiva i politici che prendevano le torte in faccia salvo poi lamentarsi se il processo di identificazione della politica coincideva col Bagaglino. Sta di fatto che i «rappresentanti del popolo», di lì in poi, si divisero tra un buon terzo di parlamentari a presa mediatica e altri due terzi ridotti a peones. Da qui i primi atroci dilemmi: se la Camera dei rappresentanti possa dirsi rappresentativa o no; se il Parlamento debba essere il famoso specchio del Paese oppure la sua eccellenza; se davvero, a contare, ormai, sia solo un’oligarchia di pochi politici in contrapposizione a centinaia di spingitori di bottoni. Quesiti retorici, ti dicono: perché la nostra politica è ormai americanizzata e il candidato ideale sarà sempre più la risultanza di un piano di marketing. Ergo, i parlamentari - o le Minetti - hanno una funzione tecnica che nella maggior parte dei casi è spingere un bottone: si preferiscono persone fedeli, accondiscendenti, capaci di star sedute anche per 15 ore. La differenza tra una Minetti e altri peones, in tal senso, è solo che la Minetti non puoi non notarla. Tutto ciò è iniziato nel 1994 ed è arrivato a cascata (selezioni tipo casting, con prova video) e il risultato è degenerato sino alla vergogna, ma attenzione, non è certo accaduto solo nel Pdl: segretarie e portavoce e parenti vari non mancano certo neanche a sinistra, per quanto meno appariscenti. In altre parole: il Porcellum e tutti i sistemi elettorali dal 1994 a oggi, in verità, hanno rappresentato un’occasione perduta per stipare il Parlamento di personaggi straordinari: esattamente il contrario di quanto è accaduto negli ultimi anni. Anche perché la rievocata Forza Italia, nel 1994, a pensarci fece giusto il contrario di quanto ha fatto alle Politiche del 2008: Berlusconi, ai tempi, cercò di piazzare in lista tutto il meglio che riusciva a trovare (tra coloro che ovviamente ci stavano) ma è gente che poi è scappata o che è stata messa progressivamente alla porta, questo per le stesse ragioni per cui era stata scelta: erano personalità indipendenti, o perlomeno erano personalità. Sicché le liste, tutte le liste, sono diventate casting o contro-casting: militari contro militari, imprenditori contro imprenditori, sindacalisti contro sindacalisti, handicappati contro handicappati, scienziati contro scienziati. L’aver piazzato in Parlamento la moglie di Emilio Fede, cui chiediamo scusa, non corrisponde a un problema eticamente diverso dall’averci piazzato anche la chirurga o la fisioterapista di Berlusconi; il problema, semmai, nasce se intanto spazzi via dalle liste tutti i liberali di centrodestra per far posto al tassista Loreno Bittarelli, alla giornalista del Tg4 Gabriella Giammanco, a Gabriella Carlucci, a Elisabetta Gardini, a tanti che magari non sono neanche noti ma hanno il portafoglio gonfio. E a sinistra, come detto, non è tanto diverso: non hanno più candidato l’islamista Khaled Fouad Allam, o Nando Dalla Chiesa, ma hanno lasciato spazio ad amiche, amichetti o comunque gente come Massimo Calearo, uno che sino a due settimane prima aveva la suoneria del cellulare con l’inno di Forza Italia. False personalità, spingitori di bottoni, rappresentanti di niente che peraltro della Minetti non hanno neppure le tette. di Filippo Facci

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