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Il Cav ha buttato via un anno: ora la rimonta è più difficile

Al voto bisognava andarci nel 2011, ma l’allora premier si piegò al ricatto dei mercati e appoggiò il Prof e le sue tasse. Riuscirà a recuperare i delusi?
di Andrea Tempestini domenica 9 dicembre 2012

4' di lettura

Silvio Berlusconi ha commesso un grave errore. Ma non ora, che ha deciso di ritornare in pista candidandosi alle prossime elezioni e minacciando di mandare a casa senza panettone Mario Monti. Lo sbaglio lo ha compiuto un anno fa, quando accettò di farsi da parte per lasciare il posto al Professore.  La cantonata è consistita nella resa incondizionata di fronte alla speculazione finanziaria anti-italiana. Gettando la spugna, il Cavaliere accettò di essere additato come il responsabile del balzo dello spread: il colpevole numero uno delle difficoltà economiche in cui in pochi mesi era precipitato il Paese. Invece di rassegnare il mandato consentendo il commissariamento della politica e la sostituzione di un governo legittimamente eletto con uno fatto di tecnici, Berlusconi avrebbe dovuto fare quello che sta facendo ora:  chiedere di andare subito a votare. L’unica soluzione possibile consisteva nella restituzione della parola agli italiani, i quali avevano scelto un governo di centrodestra e non di uno di centro banca. Gli elettori avevano dato il loro assenso a una politica che riducesse il peso della mano pubblica e soprattutto quello del fisco, ma con le dimissioni del Cavaliere si trovarono a Palazzo Chigi un esecutivo di tecnocrati, che inasprì il controllo dello Stato sul cittadino (più accertamenti fiscali, meno circolazione del contante, più adempimenti  burocratici, meno  flessibilità nel mondo del lavoro), facendo l’esatto  (...) (...) contrario di quello che era il programma  per cui Berlusconi era stato votato.  Sin dagli esordi il piano di Monti non lasciava dubbi sulla direzione intrapresa: come ricorderete, la manovra più che puntare a ridurre le spese di uno Stato sprecone mirava ad aumentare le tasse di una burocrazia arraffona. Dopo un anno il risultato è sotto gli occhi di tutti, o per lo meno può essere visto da chi ha intenzione di guardare i fatti senza farsi incantare o senza voler raccontare frottole. La disoccupazione ha raggiunto un picco mai visto e in base alle previsioni l’anno prossimo potrebbe sfiorare il 12 per cento. Il prodotto interno lordo è calato oltre ogni peggiore aspettativa. Il debito pubblico è aumentato, anche al netto della spesa per gli interessi. La tassazione ormai è da Guinness dei primati. Insomma, le cose vanno malissimo e pure la tanto decantata lotta all’evasione lascia il tempo che trova, cioè si riduce a poco più della propaganda, perché, come testimoniano gli ultimi dati diffusi dalla ragioneria dello Stato, il gettito Iva è diminuito, segno evidente che c’è chi non paga le imposte indirette ma preferisce evaderle. Certo, ci si può consolare (come hanno fatto molti giornali proprio ieri) con l’aumento complessivo delle entrate, ma questo è alimentato in massima parte dall’Imu, cioè da una patrimoniale odiosa sulla casa, unico risparmio vero delle famiglie. Insomma, questo bel risultato è frutto del governo dei tecnici, l’esecutivo che secondo gli impegni avrebbe dovuto far uscire l’Italia dalla crisi. Purtroppo, se tutto ciò è stato portato a compimento lo si deve anche all’appoggio del centrodestra. Senza i voti del Pdl Monti non avrebbe mai potuto varare una riforma del mercato del lavoro che ha reso ancora più complicato cacciare i lavativi e più difficile assumere i giovani. Senza la riforma voluta da Elsa Fornero non ci sarebbero  stati né gli esodati né i ricongiungimenti, centinaia di migliaia di persone non sarebbero state lasciate in mezzo a una strada, senza la certezza né della pensione né dello stipendio. Certo, oggi  il Popolo della Libertà si accorge che molti errori sono stati fatti e purtroppo si rende conto di averne pagato le conseguenze. Il consenso è dimezzato e gran parte degli elettori è deluso e annuncia l’intenzione di volersi astenere. Ancora ieri i sondaggisti segnalavano che il 50 per cento degli italiani, cioè uno su due, non sa se si recherà alle urne e per chi voterà. Rimontare da una simile situazione non sarà facile. Convincere chi non vuole sentir parlare di politica e ancor meno di centrodestra è quasi una missione impossibile. Nel 1994, quando scese in campo, Silvio Berlusconi aveva dalla sua un’arma formidabile, ossia la voglia di cambiare e lui seppe impersonare questo desiderio. Oggi la voglia di cambiare gioca contro di lui, perché per quanto egli dichiari di essere stato sabotato dai giudici, dall’opposizione e anche dalla burocrazia parassitaria dello statale, ha governato per almeno otto degli ultimi dieci anni.  È vero, sappiamo che con la Costituzione che ci ritroviamo a Palazzo Chigi anche muovere uno spillo non è facile. Ma Berlusconi non lo deve dire a noi, che ne siamo già informati e lo spieghiamo da anni, ma agli italiani. Ed è probabilmente l’operazione più difficile della sua carriera. Buona fortuna. di Maurizio Belpietro

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