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La pensione non basterà

Vi sveliamo quello che lo Stato tiene nascosto: 16 milioni di italiani hanno bisogno di un secondo assegno. E' il momento di investire i nostri risparmi
di Andrea Tempestini domenica 9 dicembre 2012

4' di lettura

Ieri ho intervistato in tv Angelo Raffaele Marmo. Ai più il nome non dirà nulla, ma Marmo, oltre che un collega, è l’autore di un libro appena uscito che s’intitola «Le nuove pensioni». Da direttore del  ministero del Welfare - recentemente ha infatti lasciato il lavoro in redazione per occuparsi di ciò di cui ha scritto a lungo - conosce i segreti della riforma voluta da Elsa Fornero e soprattutto gli effetti che questa produrrà sulla vita delle persone nei prossimi anni. A Marmo, oltre a far raccontare come è cambiato il sistema previdenziale dal primo gennaio, con particolare riferimento agli esodati e ai ricongiungimenti, a un certo punto ho chiesto se l’assegno che gli italiani prenderanno fra dieci o vent’anni sarà sufficiente a garantire loro una serena vecchiaia. La replica è stata furba, perché il collega diventato dirigente saltando la barricata mi ha risposto dicendomi che la pensione non sarà ricca o povera, ma sarà congrua oppure no a seconda di quanto abbiamo versato. Essendo passati da un sistema retributivo a uno contributivo, il pensionato riceverà in base al numero di anni in cui è stato al lavoro e al numero di contributi, e l’assegno sarà calcolato sull’intero periodo lavorativo e non più sugli ultimi cinque anni come accadeva in passato, cosa che garantiva una bella pensione a patto che nell’ultimo lustro si fosse preso uno stipendio adeguato. Dicevo che la risposta di Marmo è stata furba, in quanto ruota intorno al problema che abbiamo segnalato tempo fa, quando sulla base di un’indicazione del Sole 24 Ore avevamo chiesto di dire la verità sul futuro previdenziale degli italiani. Secondo il quotidiano confindustriale infatti le pensioni prossime venture non  saranno dello stesso tenore di quelle percepite fino a ieri, ma probabilmente molto più basse, per via di una serie di fattori.  Non avendo ricevuto una risposta chiara da Marmo, ho provato allora a girare la domanda, chiedendo al collega se, per ripararsi da ogni evenienza, lui si fosse fatto la pensione integrativa. E la risposta è stata sì. Un monosillabo che è valso più di qualsiasi complicata spiegazione. Se anche il direttore del Welfare si fa la pensione integrativa significa che quella pubblica, quella che si ottiene pagando i contributi, non è detto che sia sufficiente a farci dormire in futuro dei sonni tranquilli. C’è infatti il rischio che il vitalizio non basti, compromettendo il nostro tenore di vita una volta ritirati dal lavoro.  Già, perché se da un lato è giusto dire che gli italiani riceveranno in base a quanto hanno dato e più versano e più incasseranno, ci si deve ricordare di come funziona il mercato del lavoro in Italia e, soprattutto, qual è il livello di copertura previdenziale di chi giunto a sessantacinque anni va in pensione. Qui vale la pena di citare i dati pubblicati un anno fa da Alberto Brambilla, presidente del nucleo di valutazione della spesa presidenziale per conto del ministero del Lavoro. Brambilla, che fa il professore e da sempre studia la materia, rivelò non solo che ogni categoria paga contributi diversi a seconda degli accordi esistenti fra sindacati e datori di lavoro, ma che su  23,4 milioni di pensioni erogate dagli enti, più di 9 milioni, cioè quasi il 40 per cento, dovevano essere integrate dallo stato perché i beneficiari non «erano arrivati in 65 anni di vita a mettere insieme un numero sufficiente di contributi per raggiungere almeno la pensione minima». Ma il super esperto rivelò un altro dato ancora e cioè che sulla base delle dichiarazioni dei redditi, nel prossimo futuro almeno 16 milioni di persone avrebbero avuto bisogno di una integrazione della pensione, altrimenti sarebbero finite in povertà. Una situazione pesante, che, se come immaginiamo la riforma Fornero ridurrà il valore dell’assegno per i futuri pensionati, rischia di diventare drammatica.  Per questo il Sole 24 Ore un mese fa invitava il governo e i vertici dell’Inps a dire la verità agli italiani, raccontando come sarà la loro pensione, in modo che i lavoratori possano fare i loro conti e prepararsi al futuro da pensionato al minimo. Se vogliono potersi godere la vita anche quando lasceranno il lavoro, dovranno infatti premunirsi di una pensione integrativa, mettendo da parte dei soldi che al momento giusto andranno a sommarsi a quelli dell’Inps e degli altri enti. Che la pensione non basti ad arrivare alla fine del mese, le persone non possono scoprirlo quando hanno 65 anni e ormai la frittata è fatta: c’è bisogno che qualcuno li informi prima e li aiuti a prepararsi e a garantirsi il futuro. Tutti sappiamo che lo Stato mamma non c’è più da un pezzo e il suo posto è stato preso da una matrigna, ma questo non giustifica le fregature di quello stesso stato che ogni mese reclama da noi il versamento di una montagna di tasse e contributi. La maggior parte dei lavoratori dipendenti può godere del trattamento di fine rapporto, cioè di quella che viene chiamata liquidazione e che per molti è la sicurezza di una vecchia serena. Quei soldi i lavoratori se li sono guadagnati con la fatica e il sudore e nessuno li può sottrarre. Tuttavia non basta: c’è bisogno che quei soldi siano investiti al meglio e diano il massimo di interesse. Lasciarli in mano a chi non li fa fruttare o, peggio, li investe malamente e li mette a rischio, non solo è un errore, ma è un rischio troppo alto che non si può e non si deve sopportare. È per questo che oggi su Libero trovate una guida per difendere la propria liquidazione, evitando di commettere passi falsi e di regalare il denaro a speculatori e tassatori. Difendere il risparmio non è di destra o di sinistra: è soltanto un atto di buon senso. Cosa di cui purtroppo, né questo governo, né quell’altro che verrà secondo i piu recenti sondaggi  cioè il duo Vendola-Bersani, sembrano particolarmente dotati. di Maurizio Belpietro

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