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I venti chili d'oro del cardinal Sepe

I lingotti custoditi allo Ior a nome di un fedelissimo prelato
di Tatiana Necchi sabato 26 giugno 2010

3' di lettura

di Gianluigi Nuzzi Uno dei più stretti collaboratori di Sepe è titolare di una cassetta di sicurezza allo Ior. È il primo collegamento tra l'istituto di credito e i presunti membri della "cricca" Spuntano decine di lingotti d’oro tra i beni nascosti di alcuni dei protagonisti dell’inchiesta per corruzione che la procura di Perugia sta conducendo sulle attività immobiliari di De Propaganda Fide e che coinvolge l’ex ministro Lunardi e diversi alti prelati del Vaticano.  Infatti, secondo quanto risulta a Libero, nella banca del Papa, allo Ior, l’istituto opere di religione, sono custoditi oltre 20 chilogrammi in lingotti d’oro in una cassetta di sicurezza riconducibile a uno dei più stretti collaboratori del cardinale Crescenzio Sepe. Protetti da una banale carta da pacchi e riposti in una scatola di cartone, i lingotti sono stati protetti in banca da diversi anni. Non è chiaro se ultimamente questa fortuna sia stata spostata in tutta fretta o se i lingotti siano tuttora siano lì, sebbene le indagini si avvicinino sempre più ai conti e ai beni a coloro che hanno gestito sia Propaganda Fide, sia lo sterminato patrimonio immobiliare. Prima volta È la prima volta che si conosce il contenuto segreto di una cassetta di sicurezza aperta allo Ior da uno dei personaggi emersi nell’inchiesta della cricca. Del resto il suo nome compare con evidenza nelle carte riservate dello sterminato archivio di monsignor Renato Dardozzi, rettore dell’accademia pontificia delle scienze e negli anni ’90 consigliere occulto dell’allora segretario di Stato Angelo Sodano. Chiamato a gestire ogni affare finanziario opaco che potesse imbarazzare i Sacri Palazzi dai tempi dell’Ambrosiano, Dardozzi coltivava un rapporto diretto con la gerarchia vaticana. Sia, quindi, con Karol Wojtyla ma anche con lo stesso Sepe. Dardozzi avrebbe gestito i primi delicati passaggi di questo tesoro in lingotti d’oro portati in Vaticano e in banca senza che gli impiegati conoscessero il contenuto dei cartoni. La tesi che gli stessi fossero frutto di risparmi e sacrifici è risultata non credibile dallo stesso Dardozzi al punto che entrò in contrasto con lo stretto collaboratore di Sepe, come risulta dalla documentazione raccolta dal monsignore. Quindi sia le operazioni di custodia dei lingotti sia l’apertura e la gestione della cassetta di sicurezza vennero inizialmente seguite in primis da Dardozzi, mentre dal 2004, dopo la scomparsa del prelato, il proprietario dei lingotti ritornò a curare questa fortuna, a gestire quindi direttamente la pratica intestando a un codice alfanumerico la cassetta contenente i chili d’oro. Una riserva aurea che non compare negli atti di indagine della procura di Perugia ma che risulta in contrasto se non addirittura incompatibile, per valore e misteriosa origine, con il tenore di vita del proprietario. Il periodo coincide sia con il Giubileo sia con la permanenza di Sepe e del suo gruppo di collaboratori alla congregazione De Propaganda Fide. Il papa rosso infatti, come viene soprannominato il prefetto della congregazione visto l’ampio potere che determina la gestione della stessa, arrivò al ponte di comando di Propaganda Fide nell’aprile del 2001 ed era considerato uno dei cardinali più apprezzati e valorizzati da Wojtyla. Chiamato quindi a gestire sia l’impero immobiliare della congregazione (duemila appartamenti solo a Roma), sia il delicato capitolo proprio delle missioni all’estero che si intrecciano inevitabilmente con la nostra cooperazione internazionale. Forza e potere Da qui la forza e il potere del cardinale Sepe che già nel 2000 aveva cristallizzato una posizione di rilievo quando Giovanni Paolo II gli affidò calendario eventi e organizzazione del Giubileo. Di fronte a queste prospettive, la procura di Perugia ha deciso di percorrere l’unica strada che si prospettava di qualche fattibilità, ovvero indagare sì il cardinale, viste le emergenze investigative, senza però scivolare nel clamore, negli eccessi o nelle personalizzazioni che hanno azzoppato tante altre indagini.

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