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Vite in carcere

Quando il lavoro riesce a rendere libero chi non lo è più
di domenico d'alessandro domenica 12 dicembre 2010

2' di lettura

Viviamo in una società dove chi sbaglia è dannato: dentro o fuori le sbarre rimarrà sempre prigioniero dei suoi errori, un malvagio da emarginare. Ben diversa è la posizione di chi è stato trattato diversamente. Trattato da qualcuno convinto che, qualunque delitto sia stato commesso, c’è sempre la possibilità di cambiare e ricominciare. Anzi, è possibile riprendere un livello di coscienza che non si aveva prima, quando magari si era convinti delle proprie capacità, e della propria forza. Questa è la posizione di cui abbiamo bisogno di fronte a chi sbaglia, a noi stessi, ogni volta che sbagliamo. “Incontro nell’incontro” consiste in una serie di riflessioni, commenti, racconti, che Carlo, Alberto (due detenuti del carcere Bassone di Como) e Patrizia, la responsabile della cooperativa Homo Faber che organizza il lavoro in carcere, si scambiano, in nome di un semplice rapporto di simpatia e amicizia nato dietro le sbarre. Presenze che fanno rinascere la speranza in un ambiente dove non si dovrebbe aver più speranza. Anche in carcere un “incontro” che parli al cuore può cambiare un uomo. Lungo la lettura di queste pagine, ci si convince che il carcere è un luogo limite, in cui l’esperienza umana è costretta ad emergere in modo più radicale e per questo la speranza e la libertà appaiono molto più grandi della mera realizzazione delle nostre immagini umane. E così, la libertà che traspira dall’esperienza qui raccontata è di monito a tutti perché mostra che la libertà nasce dall’intimo dell’animo umano e travolge ogni condizione. Non c’è condizione a cui si è sottoposti che possa annullare la nostra grandezza perché essa consiste nella nostra capacità di rapporto con l’Infinito. E’ ciò che Patrizia non si stanca mai di richiamare: “Il Destino ha un volto preciso, un volto buono che sa sempre come guardarci”. E questo è quanto si ha bisogno di sperimentare e ridire, innanzitutto a se stessi: “Il quotidiano che vivo con questi uomini che mi sono messi davanti, che incontro in carcere per due giorni alla settimana, con i quali lavoro, è diventato segno del Mistero presente nella mia vita”. Chiunque faccia un lavoro su di sé, ha qualcosa da insegnare agli altri. E più facilmente chi ha sbagliato gravemente capisce il valore di ciò che ha e del suo compito nella società, meglio di chi pensa di non sbagliare mai. Oggi la funzione rieducativa prevista dalla Costituzione è spesso disattesa. Accade così che nella maggior parte dei casi non è vero che le carceri sono luoghi di recupero e di redenzione dei detenuti. Se ancora interessa l’articolo della Costituzione sullo scopo redentivo del carcere, occorrerebbe non ignorare ciò che la realtà ci suggerisce di Giorgio Vittadini, Presidente Fondazione per la Sussidiarietà (il testo è la prefazione del volume “Liberi in carcere. L’incontro nell’incontro” di Patrizia Colombo, pubblicato per i tipi delle edizioni Itaca, 2010)

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