A distanza di 15 anni dai fatti, dopo aver scontato per intera la sua condanna per il reato di soppressione di cadavere, continua a rilasciare interviste in cui racconta di essere lui l'assassino. Michele Misseri oggi ha 71 anni e resta uno dei personaggi più controversi dei casi di omicidio in Italia. Era il 26 agosto 2010, quando Sarah Scazzi, una studentessa di 15 anni che di lì a poco avrebbe iniziato il secondo anno dell'istituto alberghiero, scomparve nel nulla da una villetta di Avetrana, in provincia di Taranto. Alle 14 era andata a casa di sua cugina Sabrina Misseri, dello zio Michele e della zia Cosima Serrano, sorella di sua madre Concetta. Un pomeriggio come tanti altri, che si trasformò in uno dei casi di scomparsa e di omicidio più mediatici in Italia, ricco di colpi di scena, pettegolezzi e contraddizioni che ancora oggi si trascinano.
La ricostruzione processuale definitiva ha messo, però, dei paletti. Sarah e la cugina Sabrina litigarono per motivi futili, legati ad un ragazzo. Sabrina, all'epoca 22enne, strangolò la cugina con l'aiuto di sua madre Cosima e, con l'intervento del padre Michele Misseri, le due donne fecero sparire il cadavere. Inizialmente, le indagini si orientarono verso un caso di scomparsa o addirittura un rapimento. Col passare dei giorni, i dubbi degli investigatori cominciarono a diventare sospetti, poi certezze, dopo che lo zio Michele ritrovò il cellulare della nipote scomparsa. Il successivo 6 ottobre, alla fine di un interrogatorio durato circa 9 ore, Michele Misseri confessò l'omicidio della nipote, raccontò di uno stupro della ragazzina e fece ritrovare il corpo di Sarah Scazzi in un pozzo in Contrada Mosca, nelle campagne di Avetrana.
Il caso sembrava risolto, ma dall'autopsia non emerse alcuna conferma della violenza sessuale. Le indagini, così, andarono avanti: Michele Misseri stava coprendo qualcuno e ritrattò più volte la sua versione dei fatti. Gli investigatori provarono a chiudere il cerchio e, dopo un nuovo interrogatorio, Misseri accusò finalmente la figlia Sabrina, che a novembre finì in carcere. Un ulteriore colpo di scena arrivò a maggio 2011, quando fu arrestata anche Cosima Serrano. La ricostruzione ora era completa: a uccidere Sarah erano state la cugina e la zia, mentre lo zio Michele era entrato in azione solo nella fase successiva, per far sparire il cadavere della nipote.
Tra false testimonianze, avvocati indagati e ritardi, l'impianto accusatorio ha retto nei tre gradi di giudizio e il processo si è concluso definitivamente in Cassazione il 21 febbraio 2017, a quasi dieci anni dai fatti. Sabrina Misseri e sua madre Cosima Serrano stanno scontando la condanna all'ergastolo per aver ucciso Sarah Scazzi, mentre Michele Misseri – condannato a 8 anni per soppressione di cadavere – da poco più di un anno è tornato libero ed ha ripreso a raccontare una delle tante versioni sul delitto di Avetrana. Infatti, dall'11 febbraio 2024, lo zio Michele ha lasciato il carcere di Lecce con un anno di anticipo, usufruendo di alcuni sconti di pena, ed è tornato a vivere nella villetta di via Deledda ad Avetrana, teatro dell'omicidio.
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Fuga d’amore nel Parco Verde di Caivano: quando l’intolleranza uccide
Un amore nato tra le palazzine del Parco Verde di Caivano, in provincia di Napoli, ma osteggiato dalla famiglia di lei perché Ciro era transgender. Un ostacolo insormontabile, che portò ad una serie incredibile di avvenimenti, fino alla morte di Paola Gaglione, poco più che maggiorenne, che perse la vita in un tragico incidente stradale tra due scooter provocato volontariamente. Anche se suo fratello Michele Antonio Gaglione, tramite il suo legale, ha sempre negato che si trattasse di omofobia, il contesto in cui maturò la morte di Paola è proprio quello denunciato da Ciro e confermato anche dalle sentenze.
Paola Gaglione e Ciro Migliore si conoscevano da tempo e si volevano bene. Da un'amicizia nata proprio nel quartiere simbolo della crudeltà della camorra, tra palazzoni con qualche macchia di verde sbiadito e spacciatori che vendono morte ad ogni angolo, quell'amicizia si era evoluta ed era scoccato l'amore. Un amore contrastato, perché Ciro era in transizione. Una condizione non accettata nella famiglia Gaglione. Dalle continue discussioni, Paola aveva deciso di andare a convivere con Ciro. Da allora, la questione non sembrava essersi risolta.
Così si arriva alla notte tra l'11 e il 12 settembre del 2020, ad Acerra, altro Comune a nord di Napoli. È lì che lo scooter in sella al quale viaggiavano Paola e Ciro venne “intercettato” da Michele Antonio Gaglione. Ne nacque un inseguimento, interminabile, fino allo speronamento fatale. Paola e Ciro caddero rovinosamente a terra. Lei morì per le gravi ferite riportate, Ciro si salvò, ma rimase a sua volta ferito. Se inizialmente gli investigatori pensarono ad un tragico incidente, proprio la decisiva testimonianza di Ciro spinse gli inquirenti ad approfondire la vicenda.
Non si era trattato di un banale incidente stradale tra due scooter. Non era il classico sinistro per truffare la compagnia assicurativa. Non c'era stata imprudenza nella guida da parte di qualcuno. La storia venne ricostruita nei minimi dettagli: tutti i protagonisti della vicenda si conoscevano bene. C'era stato un vero e proprio inseguimento nelle strade della periferia di Acerra, c'era stato addirittura uno speronamento. Qualcuno aveva provocato quell'incidente stradale. Solo per questo motivo Paola e Ciro erano caduti dallo scooter.
Meno di un anno fa, dopo i canonici tre gradi di giudizio, con il riconoscimento di piccoli sconti di pena rispetto alla sentenza di primo grado, la Corte di Cassazione ha condannato in via definitiva a poco più di 9 anni di reclusione Michele Antonio Gaglione per il reato di omicidio preterintenzionale per aver causato la morte di sua sorella Paola e per lesioni aggravate nei confronti di Ciro Migliore. Una condanna che è divenuta definitiva, dunque, per una vicenda che si è articolata tra contrasti familiari e omofobia, fino a causare la morte di una ragazza innamorata in un quartiere difficile e dalle mille contraddizioni.
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