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Il test per scoprire se un islamico diventa jihadista

Alessandra Menzani
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Si chiama "deradicalizzazione" dei giovani jihadisti. E' un servizio, con tanto di numero verde: nella casa della prevenzione e della famiglia gli esperti sostengono padri e madri che notano stranezze nei figli, segni di squilibrio, più o meno invasati dall'integralismo di matrice islamica. Di più: agiscono sui figli per estirpare il "demone". Il quotidiano La Stampa intervista una degli assistenti sociali, la direttrice del centro Sonia Imloul, 40 anni, facendo notare che nessuno dei ragazzi presi in cura da lei è partito per la Siria. Come si individua un potenziale terrorista? "Bisogna liberarci di certi luoghi comuni, come la caricatura del ragazzo emarginato, abbandonato dai suoi genitori. Io ho a che fare con tanti che vengono dal ceto medio, da famiglie normali. E talvolta abbienti. Mi affidano anche molti convertiti, di famiglie francesi di origine, che con il mondo musulmano non avevano niente a che fare". Diventano fanatici, spesso, a causa di traumi nascosti e non ammessi. "Abbiamo trattato una ragazza che era stata violentata da piccola e non l' aveva mai detto a nessuno. Uno dei problemi ricorrenti è anche l' assenza della figura del padre". Anche internet è un pericolo. Una volta che un ragazzo inizia a vedere video di propaganda o di teste mozzate, "il 50% della radicalizzazione si è già compiuta". Sonia dice di avere a che fare non con adolescenti, ma con ragazzi dai 20 ai 25 anni. "Sono ben coscienti che andranno a combattere davvero, che probabilmente moriranno". "La maggior parte di questi giovani provengono da famiglie poco religiose o addirittura atee. Nella testa hanno un islam prefabbricato e fittizio", dice l'esperta. Nella cui squadra lavorano psicologi, giuristi, assistenti sociali, tutti buoni conoscitori della religione musulmana. "Abbiamo sviluppato delle tecniche che vogliamo tenere segrete. È un lavoro lento, laborioso. Ci vuole flessibilità, bisogna essere furbi", taglia corto la direttrice del centro. Che però fa un esempio del suo lavoro. Un tentativo di estirpare la furia terrorista di matrice islamica da un giovane. Un "piccolo delinquente che si era avvicinato al jihadismo in prigione", ricorda Sonia, "una volta fuori, la sua trasferta era già organizzata. Siamo riusciti a intercettarlo e, piano piano, a tirarlo fuori da quel mondo. È ritornato a commettere qualche reato comune. Ma per me l'importante è che non vada in Siria. E che non diventi un kamikaze".

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