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Naufragio Concordia: Schettino "distratto" dalla ragazza moldava

Per i pm le "presenze inopportune" hanno distratto il comandante: poi lo schianto con lo scoglio. Rinvio a giudizio anche per il capo dell'Unità di crisi
di Sebastiano Solano domenica 10 marzo 2013

Francesco Schettino

2' di lettura

  La vicenda del naugragio della Costa Concordia di fronte all'Isola del Giglio si arricchisce di nuovi particolari. Il comandante della nave, Francesco Schettino, sarebbe stato distratto dalla presenza "non opportuna presenza di estranei sul ponte di comando". E' questa la tesi della Procura di Grosseto, che nella richiesta di rinvio a giudizio ha provato a ricostruire l'intera vicenda. Le presenze inopportune, secondo quanto confermato dalla perizia tecnica, erano i membri dell'equipaggio Antonello Tievoli, Manrico Giampedroni e Ciro Onorato, ma soprattutto la passeggera Domnica Cemortan, la ragazza moldava che "accompagnava" il comandanate della Costa. Secondo i magistrati, la presenza di queste persone avrebbe costituito fonte di distrazione e confusione sia per gli ufficiali di coperta e per il timoniere che per lo stesso Schettino. Sotto accusa, inoltre, la telefonata intercorsa tra questi e gli altri memebri dell'equipaggio, Antonello Tievoli e Mario Terenzio Palombo, che li avrebebro distratti ulteriormente proprio mentre la nave era in prossimità "della costa in situazione pericolosa e con timone a mano". La ricostruzione dei pm - La Procura toscana, come detto, ha provato a ricostruire l'accaduto, arrivando alla conclusione che le 32 vittime del naufragio hanno perso la vita perché non avevano trovato posto nelle scialuppe al ponte quattro, sul lato sinistro della nave e - aggiungono i pm - sono state travolte dalla  "voragine prodottasi a seguito del definitivo ribaltamento sul fianco destro della nave stessa, precipitando in una zona allegata del medesimo ponte 4". Emerge poi che il cameriere di sala Russel Terence Rebello, i cui resti non sono ancora stati trovati, sacrificò la propria vita per aiutare i passeggeri, fino all'ultimo istante, a salire sulle scialuppe. Il capo dell'Unità di Crisi della Costa, Roberto Ferrarini, avrebbe invece minimizzato fino alla fine le dimensioni dell'incidente, per cui è satto rinviato a giudizio poichè non collaborò pienamente ed evitò di metetrsi in contatto con la Capitaneria di Livorno, pur essendo a conosocenza della falla. Una lunga catena di falsità, quelle di Ferrarini, culminate nella telefonata delle 00.41 a Roma, al Comando generale delle Capitenarie di Porto, "in particolare fornendo notizie inesatte e fuorvianti in merito all'esatto numero delle persone a bordo (riferendo, seppure in via dubitativa, che tutti i passeggeri avevano già abbandonato la nave), negando di avere notizie di feriti a bordo e tantomeno di morti, laddove viceversa ne era già informato".  

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