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Allarme insetti, tre decessi in tre giorni: il calabrone killer fa paura

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Luca Puccini
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La sequenza è di quelle che lasciano attoniti. Martedì 9 luglio, Stefano Guerra. Mercoledì 10, la signora C. R. (di lei conosciamo solo le iniziali, ma il discorso cambia poco). Mercoledì 11, Luciano Vagaggini. Tre giorni e tre decessi dovuti ad altrettante punture di insetto. Un’ape, nel caso di Guerra (62 anni, ex calciatore del Vicenza e della Reggiana). Un calabrone, anzi due, sia per la signora C. (66 anni, morta a Montenero Val Cocchiara, in provincia di Isernia, Molise) sia per Vagaggini (59 anni, in pensione da pochissimi giorni, a Vivo d’Orcia, nel Senese).

È arrivata l’estate. Il caldo, quei temporali improvvisi che non stemperano per niente ma creano umidità. E umidità vuol dire zanzare, mosche, vespe. Tre vite che di certo non meritavano di spezzarsi così, per quella che fino all’altro ieri consideravamo una sciocchezza e, invece, sciocchezza non è: sui dati statistici, tra poco, ci arriviamo. Guerra ha lottato per quasi un giorno. Punto durante un’attività di volontariato. Lui, che sapeva di essere allergico, ha chiesto aiuto all’istante ma le sue condizioni erano gravi.

 

 

 

Lo shock anafilattico. Un infarto. Il ricovero d’urgenza all’ospedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia, la città nella quale viveva. Non c’è stato nulla da fare. Come per la signora C. R.: sì, i paramedici del 118 di Castel di Sagro (la cittadina abruzzese è quella più vicina) sono arrivati subito, sì è stata trasportata con le sirene spiegate fino al pronto soccorso, sì i medici hanno tentato il tutto per tutto.

Ma non è bastato. Non è bastato neanche per Vagaggini: uno, magari più insetti, si era appena avviato verso una finestra, abitava in campagna, per scacciare i calabroni che col calar della sera iniziano a dare fastidio. Sono pericolosi. Un’occlusione delle vie respiratorie, i sanitari della vicina Abbadia San Salvatore hanno cercato in ogni modo di rianimarlo, i famigliari in apprensione, un’intera comunità (quella della frazioncina nella quale vive, 532 persone in tutto) letteralmente sconvolta. Perché non vai a pensarlo, che adesso, la bella stagione, ciò che ti può mandare al camposanto è un esserino di qualche centimetro tutto intento a piroettare in aria.

Invece succede. (E, per la cronaca, questi sono solo i casi più gravi, quelli con l’esito nefasto, dell’ultima settimana: poi abbiamo il ragazzino di dodici anni che a Varenna, sulla sponda lecchese del Lago di Como, ha chiamato l’idroambulanza per essere trasferito in ospedale il prima possibile e il bambino pure più piccolo, undici anni, che sulla spiaggia di Capaci, nel Palermitano, è stato salvato da una dottoressa e da un bagnino che gli hanno somministrato l’antistaminico in tempo). Succede nella misura che, stando all’Istituto superiore di sanità, ci siamo arrivati, ogni anno, in Italia, cinque milioni di persone vengono punte da un insetto: grazie al cielo la stragrande maggioranza di loro se la cava con poco, epperò tra i dieci e i venti casi le cose si mettono male.

 

 

 

I calabroni (e anche le api e le vespe) hanno una dose di veleno, sostanze chimiche irritanti e tossiche, che generalmente non basta a farci star male. Ma nel 10% di noi può causare dispnea, nausea, vomito e persino (in poche decine di soggetti sfortunati, sfotunatissimi) un calo drastico di pressione arteriosa. E siccome le brutte notizie non vengono mai sole, qualche giorno fa il sito dell’Agenzia italiana del farmaco segnalava che «a causa di un’interruzione temporanea della produzione dovuta a un ritardo nel Technology transfer presso il nuovo produttore specializzato nel riempimento di siringhe di adrenalina, il medicinale Chenpen, in tutti i confezionamenti autorizzati, sarà carente». Il farmaco è quello che va utilizzato in caso di shock anafilattico: non sarà un allarme a tutto tondo (è più un’informativa), ma non pare nemmeno del tutto tranquillizzante.

 

 

 

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