C’è una manina, piccola come una foglia, che si aggrappa alla maglietta del padre. È la presa istintiva di chi non conosce ancora il mondo, ma sa riconoscere un corpo da cui aspettarsi protezione. Una stretta tenera, naturale, che racconta fiducia assoluta. È il 5 giugno, il padre viene fermato dalla polizia in centro a Roma, perché la piccola piange disperata. La madre, probabilmente, giace già morta nel vicino parco di Villa Doria Pamphili, polmone verde della Capitale.
La piccola ha solo nove mesi, indossa un vestitino rosa – lo stesso che sarà poi trovato in un cestino – e tiene la testa dritta. Piange, ma cerca comunque lo sguardo del padre che la tiene in braccio. Bermuda beige e cappellino sul volto, quell’uomo è Rexal Ford. Poche ore dopo quello scatto, sarà proprio ad lui a ucciderla. A diffondere quella foto è stata la trasmissione Chi l’ha visto?, che l’ha mostrata agli spettatori aprendo lo scenario reale a una domanda muta e lancinante: come si può passare dalla tenerezza di quel gesto alla ferocia del crimine? La piccola, in braccio a Ford, cittadino californiano di 45 anni, aveva un pianto ininterrotto.
Intorno a loro alcuni agenti, chiamati da qualcuno allarmato. «È mia figlia», ha detto l’uomo ai poliziotti. L’hanno identificato, raccolto le generalità, poi tutto è finito lì. Almeno così sembrava... Sabato mattina, in una zona boscosa di Villa Pamphilj, un uomo ha trovato il cadavere della bimba. Un paio di ore dopo, poco distante, è stato rinvenuto quello della madre, coperto da un sacco nero abbandonato sotto una siepe. Entrambe senza abiti, senza nome, senza volto, senza una storia ufficiale. Il volto della madre, una 29enne anche lei americana, probabilmente morta giorni prima della figlioletta, era talmente irriconoscibile da non permettere pubblicazioni per le ricerche e nemmeno comparazioni. Il suo viso è apparso solo venerdì sera in una immagine pubblicata sempre da Chi l’ha visto?, che lancia un appello per riconoscerla. Si vede lei, bionda e dallo sguardo affatto sereno, in compagnia di Ford, immortalato con una vistosa e sanguinante ferita alla testa.
È stato grazie alla segnalazione di un uomo, dopo la diffusione delle immagini dei tatuaggi della vittima, che la procura di Roma ha imboccato una pista concreta. L’uomo ha raccontato di aver visto una coppia litigare furiosamente nei pressi di Villa Pamphilj. Lì erano intervenuti gli agenti, e lì, per la prima volta, era comparso il nome di Rexal Ford. Lui è subito fuggito. Lo hanno trovato in Grecia, sull’isola di Skiáthos. A fermarlo, gli agenti dello Sco, il Servizio centrale operativo. Ford è stato arrestato, è in attesa di estradizione: potrebbe tornare in Italia in 20-25 giorni, ma pure gli Usa lo reclamano. Intanto, le indagini si muovono su più fronti, anche con una possibile missione degli inquirenti italiani in Grecia. Rexal Ford e le due vittime erano entrati in Italia ad aprile. Senza fissa dimora, mangiavano alla Caritas, dormivano dove potevano.
Erano stati visti tra i tavolini del mercato San Silverio, vicino San Pietro, e in altri angoli della città. Nessuna registrazione in alberghi, nessun documento ufficiale lasciato dietro. Solo qualche parola in inglese, qualche sorriso alla bimba. E poi soltanto silenzio. Non è ancora certo il legame tra l’uomo e la donna uccisa, il cui nome resta ancora sconosciuto. Un’identità da ricostruire, come i frammenti della loro vita interrotta.