Vi ricordate i tempi passati in cui arrivati ai primi di agosto le città si svuotavano completamente, con uffici ed esercizi commerciali rigorosamente chiusi per ferie? Per non parlare di chi poteva godersi addirittura una lunga sospensione, la cosiddetta “villeggiatura”, che da metà giugno si protraeva fino a metà settembre nelle seconde case al mare o in campagna. Quei tempi sembrano finiti: le attività in questi giorni continuano un po’ dappertutto e soprattutto le località balneari registrano un netto calo di presenze.
Cosa è successo? Perché gli italiani sembrano rinunciare alle vacanze lunghe? Per la sinistra politica la risposta è semplice: è tutta colpa di questo governo che ha impoverito gli italiani che non hanno più un soldo in tasca. Ovviamente si tratta di populismo a buon mercato: mai nessun governo si era distinto come l’attuale per un uso tanto accorto delle risorse, per una gestione oculata del debito pubblico che ha ridato fiducia e stabilità a tutto il sistema. Tanto che le stesse agenzie di rating hanno certificato questo risultato e non pochi osservatori esteri parlano di “miracolo” italiano. Sicuramente la performance italiana si colloca in un contesto internazionale in cui i Paesi con cui ci siamo sempre confrontati, quelli europei e occidentali, versano in una situazione di crisi e declino. Ma a questa situazione stiamo reggendo bene.
E soprattutto essa è il portato di quel processo di globalizzazione di cui l’Occidente stesso si è fatto corifeo negli ultimi decenni, elaborando persino una ideologia di supporto, il globalismo, che l’ha supportato e favorito. Le vacanze lunghe e di massa di cui anche noi abbiamo goduto in passato si inserivano in un contesto ove la struttura portante della cosiddetta “società affluente”, cioè la classe media, era forte e robusta. I processi incontrollati e ideologici di globalizzazione hanno sortito l’effetto di rendere più insicura quella classe dalle nostre parti proprio mentre cresceva in Paesi un tempo poveri come quelli asiatici. Quel che la fa essere più guardinga è l’incertezza che essa vede all’orizzonte, fra guerre alle porte e immigrazione incontrollata. È qui che la politica, soprattutto europea, si è mostrata particolarmente cieca facendo perdere a molti speranza e fiducia nel futuro.
Se a ciò aggiungiamo le deleterie politiche fiscali con una tassazione sempre più alta che grava proprio sui ceti più intraprendenti, il gioco è fatto. A questo aspetto psicologico, se ne aggiunge, come dicevo, uno più propriamente culturale che non va sottovalutato. Oggi è cambiato il modo stesso di intendere e fare vacanza. Le nuove tecnologie informatiche hanno fatto sì che si rompesse quella netta separazione fra tempi di lavoro e tempo libero che era propria della società fordista e della modernità avanzata. Oggi è possibile dilazionare le vacanze e spalmarle, per così dire, lungo tutto l’anno.
Non c’è bisogno di staccare a periodi fissi, perché la presenza nei luoghi di lavoro non è più essenziale e ognuno può ritagliarsi i propri spazi con una certa flessibilità. Anche in situazioni di semi-lavoro. C’è poi anche da considerare la forte diversificazione dei luoghi di vacanze: se le spiagge sono vuote, non per questo lo sono gli aeroporti. Prima non si viaggiava con la facilità con cui lo si fa oggi e forse non c’era nemmeno la cultura del viaggio alla scoperta del mondo. In sostanza, i motivi che portano a scegliere le ferie corte ad agosto sono tanti e diversi e non tutti negativi. Il problema è appunto, da una parte, quello di capire che il vecchio mondo non c’è più, che noi stessi siamo cambiati, e dall’altra di contrastare quelle ideologie che ci farebbero sicuramente soccombere nella nuova realtà. Il mondo nuovo può darci anche nuove opportunità. Di vita, di lavoro e di meritato relax. Sta a noi approfittarne, senza ideologismi e disfattismi di sorta.