Una colonna di stile dorico, una statua del periodo tardo romano, un peristilio che si allarga verso il tramonto purpureo... e un gatto, sdraiato e dagli occhi semichiusi, perfettamente consapevole che negli scatti dei visitatori lui avrà una parte preponderante, come se le meraviglie circostanti non fossero che adeguati fondali per la sua presenza. Gatti e archeologia vanno d’accordo, anzi i siti sono luogo privilegiato per i felini e le loro colonie, così come per altre specie animali, dove vivono felici e protetti, da Roma, dove per molto tempo hanno dovuto abbandonare la vita di strada e tornare ad abitare archi e capitelli, fino ai grandi siti del Sud, come Ercolano, Pompei, Paestum.
Basti pensare ad Augusto, il micio-star del Colosseo a Roma, plurifotografato e finito in disegni, copertine di dischi e diverse opere d’arte. E non è certo un caso unico. I gatti, del resto, erano già presenti nelle effigi militari durante gli anni dell'Impero Romano ed erano venerati in Egitto come animali sacri. Proprio questa “sacralità” egiziana, potrebbe aver ispirato i vari imperatori romani, in particolare Giulio Cesare, nel considerare i gatti animali speciali, dal potere imperscrutabile. Dopotutto per lungo tempo i Romani e l’Egitto hanno avuto rapporti ravvicinati, tanto ravvicinati che dopo il 30 a.C. l’Egitto – suo malgrado, evidentemente - diventò parte dell'Impero romano. Da allora sono considerati una sorta di numi tutelari, genius loci inafferrabili tra monumenti e templi, tombe e dei palazzi in rovina. E sono finiti in numerose opere d’arte. Come ha scelto di fare Lorenzo Lotto, invece inserisce il gatto nella celeberrima “L’annunciazione di Recanati” del 1534: non ci sono propriamente rovine classiche, ma straordinarie architetture cinquecentesche.
Oggi i gatti prosperano nell’entrare a far parte del patrimonio archeologico, in un certo senso. Nei parchi di Paestum e Velia la colonia felina è stata istituita nel 2023 e i suoi abitanti in pianta stabile si sono guadagnati l’affetto degli addetti ai lavori e dei turisti, anche se, come sempre, sono loro a decidere come e quando mostrarsi alle persone. Del resto, loro passeggiavano qui ai tempi del filosofo Parmenide e dei suoi discepoli e possono certo scegliere con chi familiarizzare... Delle cinquemila colonie presenti nella capitale, Università della Sapienza inclusa, nel Parco Archeologico più famoso d’Italia ne vive una fiorente e ben integrata con gli altri animali del parco. Che includono fagiani e germani reali, conigli e istrici, ricci, volpi e i numerosissimi pappagallini verdi (oltre alle api introdotte per la produzione di miele, come anche a Pompei). Altro indirizzo fondamentale per gli amanti delle antichità e dei gatti a Roma l’Area Sacra della Torre Argentina, che è stata ribattezzata “Santuario dei Gatti”. Non è un nome casuale: l’area, scoperta durante la fine degli anni ’20, è stata da subito popolata dalla presenza gattesca. Diverse associazioni, oggi, si occupano del cibo, dell’acqua, della sanità e della sterilizzazione degli esemplari presenti nella zona. I turisti spesso finiscono per rimanere ipnotizzati dalle ombre sinuose intorno ai ruderi dell’antica Roma, che per un momento sembrano riprendere una vita fantasmatica, sognante. Ultimi arrivati nel riconoscimento delle loro colonia felina – con tanto di registrazione ufficiale all’ASL di Napoli – i gatti di Ercolano, che non sono semplici presenze ma un elemento distintivo del parco, insieme alla fauna presente sul sito, in una convivenza armoniosa con il patrimonio storico e naturale; la registrazione è un ulteriore passo nella direzione di questa convivenza, già affrontata, ad esempio, con la possibilità per i visitatori di accedere al sito con cani al guinzaglio. Archeologia, natura, bellezza e convivenza: in questi parchi l’esperienza è totalizzante. Sotto lo sguardo accondiscendente dei mici.